Nel suo intervento, è probabile che Papa Francesco parlerà di interdipendenza, vocazione dell’amore e rispetto.
La Santa Sede a Ginevra, il dialogo sui diritti degli indigeni
Lo scorso 27 settembre, si è tenuta al Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra una sessione che ha discusso del Rapporto Speciale sui Diritti dei Popoli indigeni.
Monsignor John Putzer, incaricato di affari della Missione Permanente della santa Sede alle Nazioni Unite di Ginevra, ha sottolineato come la Santa Sede “condivida le preoccupazioni che gli sforzi di recupero economico stanno avendo un impatto sproporzionalmente negativo sulle comunità indigene”, e che anzi “molte misure hanno reso prioritarie e supportato l’espansione di operazioni di affari a spese delle popolazioni indigene, delle loro terre e del loro ambiente”.
La Santa sede nota che gli indigeni sono il 5 per cento della popolazione globale totale, e che questo 5 per cento rappresenta a sua volta il 15 per cento della popolazione mondiale che vive in povertà.
I popoli indigeni – sottolinea ancora la Santa Sede – “hanno avuto una vulnerabilità superiore durante la pandemia del COVID 19”, e le situazioni che già vivevano, come la insicurezza alimentare, sono state “esacerbate dai lockdown”.
Per questo, la Santa Sede chiede di “promuovere un dialogo inclusivo” in modo da “coinvolgere in maniera efficace le popolazioni indigeni” negli sforzi di recupero, considerando che le popolazioni indigene hanno “un ruolo fondamentale nella conservazione e trasmissione della conoscenza tradizionale e delle pratiche che possono contribuire ad una maggiore sicurezza alimentare, salute, benessere e recupero dalla pandemia”.
Secondo la Santa Sede, l’attuale crisi sanitaria globale deve “essere una opportunità per lavorare ulteriormente verso politiche verdi e sistemi che possano riconciliare salute e natura”, e per questo le tradizioni culturali dei popoli indigeni, nonché il loro legame con la natura, sono “un valoroso esempio da considerare”.
La Santa Sede alle Nazioni Unite di New York, l’impegno per l’eliminazione delle armi nucleari
Prosegue l’impegno della Santa Sede per l’eliminazione delle armi nucleari. Lo scorso 28 settembre, intervenendo all’assemblea generale delle Nazioni Unite, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha denunciato i due fattori che “contribuiscono a determinare lo status quo nucleare”, e allo stesso tempo ha ricordato l’impegno della Santa Sede in tal senso, culminato quattro anni fa con il voto al Trattato per l’Abolizione delle Armi Nucleari nell’insolita veste di Paese non solo osservatore, una prerogativa che la Santa Sede ha sempre gelosamente mantenuto.
Il trattato è entrato in vigore lo scorso gennaio, nonostante gli Stati detentori di arsenale nucleare non lo abbiano siglato né ratificato. La Santa Sede individua prima di tutto nella “politica della deterrenza” uno dei fattori che contribuisce al perpetrarsi dello status quo nucleare. Una politica che “spinge alla corsa agli armamenti e genera un ambiente tecnologico disumanizzante”, aggravando anche “la diffidenza tra le nazioni”. La Santa Sede, invece, “sostiene con forza accordi di disarmo verificabili”, considerando che “la fiducia tra le nazioni giustifica le verifiche”.
Il secondo fattore che contribuisce a mantenere lo status quo nucleare – spiega l’arcivescovo Gallagher – è invece determinato “dalle spese esorbitanti” da parte di alcuni Stati per la produzione e lo spiegamento di arsenali nucleari, che creano “disuguaglianza sia all’interno sia attraverso le nazioni”, mentre la Santa Sede invitta piuttosto a “ridurre le spese militari in favore di una risposta ai bisogni umanitari e delle esigenza della nostra casa comune”.
L’arcivescovo Gallagher ribadisce la richiesta ai governi, che fu già di Paolo VI, di creare un Fondo Mondiale per eliminare la fame e lo sviluppo dei Paesi più poveri con i soldi che fino ad ora sono destinati alle armi e ad altre spese nucleari”.
La Santa Sede alle Nazioni Unite, il Cardinale Parolin sulla risposta al COVID
Il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, è intervenuto lo scorso 25 settembre in videoconferenza all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite al dibattito su “Costruire resilienza con la speranza: recuperare dal COVID 19, ricostruire sostenibilità, rispondere ai bisogni del pianeta, rispettare i diritti dei popoli e rivitalizzare le Nazioni Unite”.
Nel suo intervento, il Cardinale Parolin ha sottolineato l’importanza di mantenere la speranza perché questa “aiuta la resilienza” e ci ispira di “metterci a lavoro, anche quando non possiamo essere capaci di vedere i risultati che si sono raggiunti in una vita”.
Secondo il Segretario di Stato vaticano, la resilienza “richiede un robusto senso di fraternità e solidarietà, così come capacità di analizzare i fallimenti dei sistemi economici e sanitari e così rispondere adeguatamente alla crisi della pandemia”.
Il Cardinale Parolin ha chiesto alla comunità internazionale di “rafforzare la nostra ambizione”, anticipando che l’incontro del COP26 di novembre a Glasgow (Papa Francesco in persona dovrebbe parteciparvi) “darà opportunità alla comunità internazionale di impegnarsi di nuovo nella protezione della nostra casa comune”.
Il Cardinale ha anche sottolineato che l’impegno per un cessate il fuoco globale e per la non proliferazione di armi nucleari sono necessari per il rispetto dei diritti dei popoli, mentre le violazioni dei diritti umani mostrano “una crisi delle relazioni umane da affrontare” perché ha “enormi conseguenze pratiche per i diritti umani”.
Particolarmente importane per la Santa Sede è invece “il bisogno di rivitalizzare le Nazioni Unite” per assicurarsi che l’organizzazione “viva secondo i suoi obiettivi veri e concordati in comune, piuttosto che essere strumento dei potenti”, con particolare attenzione alla salvaguardia del “principio del consenso nei negoziati” evitando di trasformare gli organismi delle Nazioni Unite in “luoghi che si focalizzano in un numero limitato di questioni da discutere”.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Il nunzio apostolico in Israele fa il suo ingresso al Santo Sepolcro
Lo scorso 30 settembre, l’arcivescovo Adolfo Tito Yllana, nunzio apostolico in Israele e Cipro e delegato apostolico a Gerusalemme, ha fatto il suo ingresso solenne nel Santo Sepolcro di Gerusalemme. L’arcivescovo Yllana, filippino, 73 anni, ha presentato a inizio settembre le sue lettere credenziali al presidente Herzog.
Nel suo “benvenuto”, il Patriarca Latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa ha detto all’ambasciatore del Papa che avrà modo di sperimentare “che siamo una Chiesa nella quale non mancano certo le sfide, ma nella quale potrà constatare anche vitalità e bellezza, attraverso la presenza di tante iniziative e attività”.
Si tratta di una “Chiesa che parla molte lingue e che ha molti colori”, dove ci sono anche “cattolici di espressione ebraica, lavoratori stranieri, migranti”, ma anche “pellegrini”
Il Patriarca Pizzaballa accenna anche al fatto che la Chiesa in Terrasanta “vive e opera in una società in gran parte islamico o ebraica”; che considera “il dialogo interreligioso costitutivo della propria identità”.
Il Patriarca accenna anche al “contesto politico e sociale ferito e divisivo”, e in particolare il conflitto politico israelo-palestinese “assorbe gran pare delle nostre energie e trova espressione non solo nelle reiterate tensioni militari, ma nello sforzo continuo a costruirsi una vita normale”, e che porta conseguenze come “risentimento, pregiudizi, incomprensioni, sospetti, paure, stanchezza”.
Fine mandato per l’ambasciatore Oren David. Il suo bilancio
Oren David, da cinque anni ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, sta concludendo il suo mandato, e ha affidato il bilancio di questi cinque anni in una intervista alla rivista online Moked.
L’ambasciatore ha definito la sua esperienza come “positiva”, ha ricordato l’incontro tra il presidente Rivlin e Papa Francesco nel 2018 e due conversazioni telefoniche tra loro durante la pandemia, e ha detto che le relazioni tra Israele e Santa Sede sono chiamate a proseguire “sulla via del dialogo e dell’ascolto, secondo un percorso ormai ben tracciato e consolidato”.
Per l’ambasciatore, “la sfida più grande rimane sempre quella di far capire le circostanze uniche in cui si trova Israele e le difficoltà che è costretto ad affrontare”, mentre è importante continuare a diffondere il messaggio di dialogo della Nostra Aetate, sottolineando la “radice ebraica del cristianesimo”.
Proprio “l’aver approfondito il dialogo con tutto il mondo cattolico sui temi dell’antisemitismo” è stato uno dei successi dell’ambasciatore David, che ha ricordato anche varie iniziative lanciate dalla sua ambasciata. Il rimpianto è quello che, a causa della pandemia, all’ambasciatore non è riuscito di portare più delegazioni in Israele a “vedere con i loro occhi la realtà del Paese”.
Il successore dell’ambasciatore David sarà Raphael Schulz.
Fraternità Umana, l’incontro di Lahzi Gaid con il ministro della Tolleranza degli Emirati Arabi Uniti
il 27 settembre, monsignor Yoannis Lahzi Gaid, membro dell’Alto Comitato per la Fraternità Umana costituito dopo la Dichiarazione di Abu Dhabi, ha fatto visita allo sceicco Nahyan bin Mubarak al Nahyan, ministro della Tolleranza e la Coesistenza degli Emirati Arabi Uniti.
Durante l’incontro, al Nahyan ha ringraziato Gaid per il lavoro di preparazione della dichiarazione di Abu Dhabi, definendola come uno “dei più importanti risultati di dialogo e cooperazione con lo scopo di promuovere i valori della pace, la tolleranza e la coesistenza nel mondo”.
Monsignor Gaid ha ringraziato il lavoro degli Emirati Arabi Uniti nel promuovere i valori della tolleranza, e ricordato che lo scomparso sceicco Zayed bin Sultan al Nahyan ha piantato i semi della fraternità e tolleranza negli Emirati.
FOCUS AMERICA LATINA
Salvador, i vescovi contro la riforma costituzionale
L’arcivescovo José Luis Escobar Alas di San Salvador ha espresso con forza la sua disapprovazione a vari articoli della proposta di riforma della Costituzione salvadoregna, che fa riferimento ad aborto ed eutanasia.
“È triste – ha detto – che si desideri presentare in Parlamento un progetto dove si seguono i padroni, sapendo bene che è una agenda internazionale portata avanti dall’ONU e da altri organismi internazionali per imporci l’aborto, la legalizzazione dell’aborto, o, come la chiamano, “salute riproduttiva” o “interruzione del processo gestatorio”.
Per l’arcivescovo Escobar “la costituzione ha dei buchi”, come la protezione dell’arricchimento illecito, la negazione di una democrazia partecipativa, e il fatto che l’unico veicolo attraverso cui si predispongono le cose sono i partiti politici, e i funzionari sono protetti.