Città del Vaticano , martedì, 28. settembre, 2021 16:00 (ACI Stampa).
Nella prefazione del libro “Fraternità Segno dei Tempi. Il magistero sociale di Papa Francesco” del Cardinale Michael Czerny e don Christian Barone, il Papa si sofferma sulla costruzione del Regno di Dio, nota che la dimensione sociale va di pari passo con l’annuncio del Vangelo, invita a non neutralizzare la dimensione sociale della fede cristiana.
Per Papa, Il Regno annunciato da Gesù “è una realtà viva, dinamica, che ci invita alla conversione e chiede alla nostra fede di uscire dalla staticità di una religiosità individuale o ridotta a legalismo”. È un Regno che “in modi diversi, spesso silenziosi e anonimi”, si realizza già dentro di noi, tanto che “ciascuno di noi può contribuire a realizzare l’opera del Regno di Dio nel mondo, aprendo spazi di salvezza e di liberazione, seminando la speranza, sfidando le logiche mortifere dell’egoismo con la fraternità evangelica, impegnandosi nella tenerezza e nella solidarietà a favore del prossimo, specialmente dei più poveri”.
Papa Francesco invita a non neutralizzare questa “dimensione sociale della fede cristiana”, che invita “alla costruzione di una società in cui trionfi la logica delle beatitudini e di un mondo solidale e fraterno”. Per Papa Francesco, nella misura in cui Dio riuscirà a regnare tra noi, “la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti”. Papa Francesco indica nelle sfide “la cura della nostra Madre Terra e l’impegno ad edificare una società solidale in cui siamo ‘fratelli tutti’.”
Il Papa difende se stesso, nota anche “il profondo legame tra l’attuale Magistero sociale e le affermazioni del Concilio Vaticano II”, un legame che “talvolta a prima vista non emerge”.
Il motivo sta nel fatto che “nella storia dell’America Latina in cui sono stato immerso” si è respirato “un clima ecclesiale che, con entusiasmo, ha assorbito e fatte proprie le intuizioni teologiche, ecclesiali e spirituali del Concilio e le ha inculturate e attuate”, tanto che per i più giovani “il Concilio diventò l’orizzonte del nostro credere, dei nostri linguaggi e della nostra prassi, cioè diventò ben presto il nostro ecosistema ecclesiale e pastorale, ma non prendemmo l’abitudine di citare spesso i decreti conciliari o soffermarci su riflessioni di tipo speculativo”.