Ha un interesse particolare anche per la diplomazia pontificia lo scontro in atto tra l’UNESCO, l’agenzia ONU per la cultura, e la Turchia. Oggetto del contendere: la decisione turca dello scorso anno di trasformare in moschee la basilica di Santa Sofia e la chiesa di San Salvatore in Chora ad Istanbul.
Il comitato del patrimonio mondiale dell’UNESCO, che aveva mandato degli ispetttori già lo scorso anno, ha espresso la sua “preoccupazione” e il suo dissenso sulla scelta di trasformare in moschee Santa Sofia e San Salvatore in Chora. Il comitato rappresenta 21 Paesi, e si è riunito il 23 luglio scorso nelle sua 44esima sessione. Nella dichiarazione finale, ha espresso “rammarico” di fronte alla decisione turca nonostante gli appelli di salvaguardare lo statuto di museo aperto a tutti, e si è detto preoccupata su come l’uso universale dei due siti sia messo a rischio dal fatto che siano sottoposti ad una autorità islamica.
Per questo, l’UNESCO ha chiesto al governo turco un rapporto sulla manutenzione dei due monumenti entro febbraio 2022. Come già aveva detto dopo la decisione di Erdogan, l’UNESCO ribadisce che il riconoscimento di bene universale impone agli Stati di non modificare lo statuto sul valore universale del bene senza un dialogo preventivo. Dato che il dialogo, lamentano, non c’è stato, Santa Sofia potrebbe non essere più riconosciuta come patrimonio dell’umanità
Andrey Azoulay, direttore generale dell’UNESCO, ha sottolineato: “Santa Sofia è un capolavoro architettonico e una testimonianza unica dell’incontro tra Europa e Asia nel corso dei secoli. Il suo statuto di museo riflette l’universalità della sua eredità e ne fa un potente simbolo di dialogo”.
Non ci sono pronunciamenti sul tema della diplomazia della Santa Sede, che si è tenuta sempre molto cauta sull’argomento. La Turchia, d’altro canto, lamenta una violazione della sovranità operata dai pronunciamenti dell’UNESCO. I vescovi turchi hanno deciso di fare un passo indietro, notando come a loro manchi anche lo statuto giuridico per parlare, mentre il Patriarca Armeno di Istanbul aveva proposto che si mantenesse Santa Sofia come luogo di culto, che fosse usato sia da musulmani che da cristiani.
FOCUS AMERICA LATINA
I vescovi per il bicentenario del Perù
Si intitola “Tutti uniti per il Perù” il videomessaggio inviato dall’arcivescovo Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo e presidente della Conferenza Episcopale Peruviana, in o ccasione del Bicentenario dell’Indipendenza del Perù, che si è celebrato il 28 e il 29 luglio.
Nel videomessaggio, l’arcivescovo Cabrejos invita a “condividere la gioia di essere eredi di una grande storia”, ma anche di guardare ad alcune sfide “urgenti di oggi” a partire dalla necessità di “difendere con fermezza l’istituzionalità democratica del nostro amato Perù, per costruire la pace e lo sviluppo umano integrale, rifiutando ogni forma di violenza, da qualsiasi parte provenga”.
I vescovi chiedono di impegnarsi nella riconciliazione e nell’amicizia sociale, esortano a rinnovare “l’impegno per la vita e per il rispetto della dignità delle persone, soprattutto per i più poveri e vulnerabili, dando priorità alle famiglie intere che stanno soffrendo gli effetti della pandemia”.
Il presidente della Conferenza Episcopale Peruviana chiede anche di costruire, e non distruggere, il Paese, cercando un nuovo inizio, riaffermando l’impegno per l’unità attraverso “un dialogo sincero, creando ponti di comunione e solidarietà per superare le differente e la polarizzazione che aumentano le distanze”.
La Chiesa peruviana “riafferma la sua volontà di continuare a lavorare fraternamente, ascoltando tutti i settori sociali, sempre nel rispetto della dignità e dei diritti della persona”.
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Guatemala, i vescovi prendono posizione contro il governo
La Conferenza Episcopale del Guatemala ha rilasciato una dura nota per contestare l’improvvisa destituzione del procuratore contro l’impunità Juan Francisco Sandoval, costretto a lasciare il Paese il giorno dopo la sua destituzione, il 24 luglio, per non mettere a rischio la sua incolumità.
Sandoval aveva denunciato la mancanza di appoggio da parte del governo e gli ostacoli posti al suo lavoro, noto e apprezzato a livello internazionale. Una nota della Conferenza Episcopale del Guatemala, firmata dall’arcivescovo Gonzalo de Villa y Vazquez, di Città del Guatemala, presidente, ha stigmatizzato “l’improvvisa destituzione del procuratore Sandoval”, la quale “secondo autorevoli uomini e donne di diritto è stata illegale e arbitraria”.
La Conferenza Episcopale del Guatemala sottolinea di far propria “la protesta dei cittadini nell’avvertire che questo fatto indica una chiara retrocessione nel lavoro per una efficace lotta alla corruzione e all’impunità, che tanto danno hanno arrecato allo sviluppo integrale del Paese”.
I vescovi hanno anche sottolineato che “coloro che si sono rallegrati dell’allontanamento lo hanno fatto perché si sentono al sicuro e a proprio agio quando il regime di impunità si consolida”.
Per i vescovi l’improvvisa destituzione del procuratore Sandoval ha fatto un danno irreparabile al paese”, dato che “gli importanti casi che stava gestendo rallentano, è enorme poi la perdita di credibilità del Pubblico Ministero, crescerà l’indignazione dei cittadini, aumenteranno le proteste sociali e il livello di conflittualità, si complicherà ulteriormente la già carente gestione della pandemia e il tortuoso processo della vaccinazione”.
Per questo, i vescovi si appellano agli operatori della giustizia affinché “si impegnino maggiormente nella ricerca della giustizia, costruendo la pace come il bene maggiore, perché siano coraggiosi nel riconoscere i propri errori e non perdano l’orizzonte del bene comune, come massima espressione del senso dello Stato del Guatemala”.