Città del Vaticano , venerdì, 13. agosto, 2021 14:00 (ACI Stampa).
C’è uno stile diplomatico, un modo preciso di confezionare la corrispondenza e i documenti della Santa Sede. Ed è fondamentale conoscerlo, per comprendere il senso di ciò che viene fatto e di come viene fatto. Per esempio, quando l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha consegnato la nota verbale sul ddl Zan all’ambasciatore di Italia presso la Santa Sede Pietro Sebastiani, si è molto dibattuto che il documento non fosse firmato. Ma davvero doveva essere firmato?
Monsignor Stefano Sanchirico, già prelato di anticamera della Prefettura della Casa Pontificia ed esperto di cerimoniale, spiega ad ACI Stampa come e perché i documenti della Santa Sede hanno una certa forma. “Abbiamo sostanzialmente – dice – a seconda dell’importanza dello scrivente, un modo diverso di confezionare il documento”.
Prima di tutto c’è il foglio. Questa è la lettera con cui corrisponde un Segretario di Stato e un cardinale, e anticamente – spiega Sanchirico – “non si usava un foglio singolo, ma un foglio piegato a metà”.
La risposta è definita “venerato foglio”. Il “foglio” va scritto con il vocativo iniziale riferito alla persona a cui è inviata, e questo è un pari grado. Il foglio è protocollato, e l’occhio è a sinistra della lettera, con nome, titolo della persona cui è indirizzato e la segnalazione della presenza di eventuali allegati. Il “Foglio” è scritto da un cardinale, e solo all’inizio e alla fine si mette il titolo per esteso.
Quindi, c’è l’“officio” . Si tratta – dice monsignor Sanchirico – “di una lettera scritta per un superiore della Curia Romana. È detto ‘pregiato’ o ‘stimato officio’, ed ha in generale le stesse caratteristiche del foglio”. La “lettera” è invece “una scritta privata, redatta con le caratteristiche del bon ton istituzionale, per esempio che il vocativo e la firma vanno scritte a mano”.