La maggior parte delle foto e molti dipinti sono custoditi al Museo di Roma che nasce negli anni’30.
La Ripartizione X antichità e belle arti del governatorato di Roma diretta da Antonio Muñoz commissiona con fondi propri una serie di campagne fotografiche. Vedute di insieme, dettagli, scorci e personaggi vivono così per sempre in queste vere e proprie opere d’arte.
La documentazione fotografica ufficiale viene eseguita da Umberto Sciamanna che si era occupato della documentazione dei beni del Pio Istituto Santo Spirito.
Gli amministratori capitolini non si fidano però delle giovane arte fotografica e chiamano a raccolta ritrattisti e paesaggisti. Cercano di recuperare le opere ottocentesche di “prima” a cominciare da Ettore Roesler Franz che aveva ritratto la Roma di prima del piano regolatore del 1881. Muñoz nel 1927 organizzerà una mostra di artisti specializzati con un titolo emblematico: Roma che sparisce. Non si tratta di capolavori, ma di “foto” della vita della città con qualcosa in più rispetto alla fotografia. Carlo Dottarelli, Orfeo Tamburi, Vito Lombardi ed altri e ovviamente Fammilume. Delle sue opere nel 1949 si tenne una esposizione a Roma il 21 maggio. Tra gli ospiti Piacentini definito il “distruttore” di quella Roma al contrario di Fammilume il “salvatore”.
Giuseppe Fammilume, era marchigiano di nascita e romano di adozione. La accolta di 200 acquerelli, frutto di sei anni di paziente lavoro, sulla Spina di Borgo fu eseguita dal vero dal 1936 al 1942. la sua è la più completa e preziosa documentazione storico-visiva dei Borghi Vaticani e può essere considerata una sorta di continuazione ideale della Roma Sparita dipinta da Ettore Roesler Franz (1845-1909).
Della mostra del 1949 il Messaggero esprime un giudizio positivo sull'opera dell'artista e allude scherzosamente al suo cognome trovandolo appropriato alla finalità che egli si proponeva di raggiungere con il ciclo illustrativo esposto in mostra.
Fammilume rappresenta gli ambienti più caratteristici dei luoghi a lui cari come i vicoli semibui con le fontanelle, le botteghe, le osterie, i laboratori degli artigiani, gli interni delle case, i cortili dei palazzi.
Anche la grande Matilde Serao esalta Fammilume e quell’atmosfera borghigiana “in cui quiete profonda clericale, cominciava coi palazzi bigiognoli, silenziosi, con le botteghe di oggetti sacri, statuette, immagini, oleografie, rosari e crocifissi su cui era messa pomposamente la legenda: oggetti d’arte”.
Accompagnati da Fammilume si entra nei cortili del palazzo dei Penitenzieri decorato con graffiti quattrocenteschi, di palazzo Cesi e di palazzo Rusticucci o il palazzo Giraud - Torlonia, la perla del rione, il palazzo Sauve, punta della Spina verso piazza Pia, la chiesa di San Giacomo prima e durante le demolizioni in piazza Scossacavalli, fulcro della Spina con al centro la sobria fontana attribuita al Maderno e trasferita nel 1958 dinanzi alla chiesa di Sant'Andrea della Valle.
L’intenzione di Fammilume non era quella di seguire una scuola, quanto di documentare il danno che avrebbero apportato le demolizioni. Così anche il passante solitario attonito il vecchio appoggiato al bastone di fronte al portone in vicolo delle Palline, il gruppo di suore, lo scolaro, l'operaio con il piccone in piazza Scossacavalli rendono l’immagine ancora più nostalgica.
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