Città del Vaticano , giovedì, 24. giugno, 2021 17:00 (ACI Stampa).
Non era destinata alla pubblicazione, la nota verbale con cui la Santa Sede aveva espresso le sue preoccupazioni riguardo il ddl Zan, la cosiddetta legge anti-omofobia in discussione in commissione al Senato. Lo spiega il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in una intervista concessa ai canali ufficiali vaticani. In cui il Cardinale spiega che no, la nota non era destinata ad influire nel dibattito parlamentare, né aveva l’intenzione di interferire con l’iter parlamentare.
Ma il dato centrale dell’intervista riguarda proprio il fatto che si trattasse una nota non destinata alla pubblicazione, parte dei rapporti tra gli Stati. Il testo integrale della nota è stato poi diffuso, attraverso una foto Ansa ripubblicata da Avvenire, mostrando tra l’altro che la Santa Sede interviene con una sua preoccupazione sugli aspetti legali, non certo sull’iter parlamentare. Dettaglio che lascia il sospetto che la diffusione della nota sia arrivata proprio per rinsaldare una maggioranza attorno a un testo che in realtà è considerato controverso da molti, e che pure ora viene difeso in nome di una difesa dalle presunte ingerenze vaticane.
Dice il Cardinale Parolin a Vatican News: “Avevo approvato la Nota Verbale trasmessa all’ambasciatore italiano e certamente avevo pensato che potevano esserci reazioni. Si trattava, però, di un documento interno, scambiato tra amministrazioni governative per via diplomatica. Un testo scritto e pensato per comunicare alcune preoccupazioni e non certo per essere pubblicato”.
Il cardinale precisa che “non è stato in alcun modo chiesto di bloccare la legge. Siamo contro qualsiasi atteggiamento o gesto di intolleranza o di odio verso le persone a motivo del loro orientamento sessuale, come pure della loro appartenenza etnica o del loro credo”. E però la preoccupazione “riguarda i problemi interpretativi che potrebbero derivare nel caso fosse adottato un testo con contenuti vaghi e incerti, che finirebbe per spostare al momento giudiziario la definizione di ciò che è reato e ciò che non lo è. Senza però dare al giudice i parametri necessari per distinguere”.
Il Segretario di Stato vaticano nota che “il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago”, che “in assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate, finché si è in tempo”, e che quindi è importante dare una definizione “perché la normativa si muove in un ambito di rilevanza penale dove, com’è noto, deve essere ben determinato ciò che è consentito e ciò che è vietato fare”.