Addis Abeba , venerdì, 18. giugno, 2021 12:30 (ACI Stampa).
“Sono particolarmente vicino alla popolazione della regione del Tigray, in Etiopia, colpita da una grave crisi umanitaria che espone i più poveri alla carestia. C’è oggi la carestia, c’è la fame lì. Preghiamo insieme affinché cessino immediatamente le violenze, sia garantita a tutti l’assistenza alimentare e sanitaria, e si ripristini al più presto l’armonia sociale”: così al termine della recita dell’Angelus di domenica 13 giugno Papa Francesco ha ricordato la terribile situazione nel Tigray.
Infatti in questa regione etiope, dopo mesi di braccio di ferro tra potere locale e quello nazionale, nell'autunno scorso si è arrivati allo scontro armato tra forze regionali ed esercito nazionale ed i vescovi hanno denunciato la grave situazione della popolazione: secondo un rapporto dell’Ipc (Integrated phase classification) sulla sicurezza alimentare, almeno 350.000 persone soffrono già la fame e rischiano la vita, mentre 4.000.000 sono in situazione grave, su una popolazione di poco più di 5.500.000 abitanti.
Per comprendere la situazione abbiamo parlato con lo scalabriniano eritreo, abba Mussie Zerai, il fondatore e presidente dell’ong Habeshia per l’integrazione degli immigrati provenienti dal Corno d’Africa e il sostegno a progetti di rientro nel Paese di origine, che ha raccontato cosa sta avvenendo: “Nel Tigray è incorso da mesi una guerra orribile dove si profilano crimini di guerra e crimini contro l’umanità con certi tratti di pulizia etnica in certe zone della regione. L’uso sistematico di abusi sessuali, l’isolamento totale con chiusure di ogni via di comunicazione, impedire i passaggi per gli aiuti umanitari in una regione già provata dalla carestia e l’invasione delle locuste che hanno devastato il poco raccolto che poteva garantire la sopravvivenza. Ecco cosa ha spinto il Papa a fare l’appello: oltre 350.000 persone che rischiano di morire di fame ed oltre 2.000.000 che dipendono dagli aiuti umanitari la loro sopravvivenza, in piena pandemia mondiale.
Addis Abeba nega che sia in corso una guerra: sostiene che si tratterebbe ‘solo’ di una operazione interna di ordine pubblico, per riportare la legalità in una regione caduta in mano a ribelli che si sarebbero messi fuori dalla costituzione.
In realtà è una guerra duplice: una guerra civile fratricida e una guerra regionale nella quale, come alleata del governo e dell’esercito federale etiopico, svolge un ruolo di grande rilievo l’Eritrea, uno stato estero, governato da una dittatura feroce, che da anni vede il suo ‘primo nemico’ nel Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, la formazione politica già a lungo di fatto alla guida dell’intera Etiopia e tuttora leader nello stato regionale di cui si considera l’unica autorità legittima. Forse gli orrori che, secondo varie fonti, starebbero emergendo dipendono proprio da questo combinarsi di fattori”.