Ovviamente la protagonista principale è la Grande Madre Russia, che religiosamente e culturalmente è quasi saltata da Dostoevskij a Giovanni Paolo II passando per l’ateismo militante.
Una cosa buona però anche il regime sovietico, pur non volendo, la fece. A seguito delle deportazioni di Stalin dalla Lituania, dalla Lettonia, dalla Bielorussia e dall’ Ucraina alla Siberia in Oriente e al Nord i cattolici apparvero dove prima quasi non esistevano. E si crearono così dei luoghi di “resistenza”.
La storia delle relazioni tra Santa Sede e Unione Sovietica prima e Russia poi è molto bene delineata nel saggio introduttivo di Tadeus Kondrusiewicz, oggi arcivescovo emerito di Minsk in Bielorussia. Di origini polacche l’arcivescovo ha vissuto in prima persona i momenti difficili dei primi anni ’90 quando, scrive purtroppo, “si poteva sentire spesso l’opinione che si trattasse di un atto di proselitismo della Chiesa Cattolica nella Russia ortodossa”.
La storia dei rapporti tra ortodossi e cattolici si intreccia con quella del rapporto dei cattolici con il regime sovietico. Rapporti così complessi che ancora nessun Pontefice ha potuto mettere piede sul suolo russo.
Giovanni Codevilla nel suo testo sulla politica ecclesiastica russa nel XX secolo ribadisce che senza Giovanni Paolo II le riforme di Gorbacev sarebbero state molto più lente e difficili.
Inoltre la legislazione russa in rapporto alle religioni poneva il rischio di una vera conflittualità interreligiosa. La Chiesa Ortodossa diventa Chiesa di Stato, con conseguenze anche sulle religioni considerate “non tradizionali” ossia diverse da ortodossi, islam, buddismo ed ebraismo.
A ripercorre i passi del cardinale Wojtyła nel periodo sovietico è Stefano Caprio che con minuziosa precisone ripercorre i rapporti tra Polonia e Russia: “due gradi poli della etnia slava orientale si sono combattuti ripetutamente e sempre hanno preso e scambiato i rispettivi tesori, costruita da una parte sull’identità latina del cattolicesimo, dall’altra sulla fascinazione bizantina dell’ ortodossia” .
Uno spazio particolare è legato ai martiri, un vero patrimonio di santità come ricorda Jonathan Luxmoore che ricorda come Giovanni Paolo II abbia portato agli onori degli altari 37 martiri dell’era comunista provenienti dall’ Europa dell’ Est.
Altri momenti storici furono la celebrazione del millennio del cristianesimo in Russia e la vicenda della Madonna di Kazan, icona con una lunga storia una cui copia era in Vaticano e che Giovanni Paolo II volle ridare alla Chiesa russa ortodossa.
Non poteva mancare un saggio sulle visite di Gorbacev in Vaticano nel 1989 e nel 1990 raccontate da Francesco Lanza. Suggestiva la ricostruzione della cronaca delle due visite.
Ovviamente spazio allo studio della relazione diplomatiche, dopo la perestrojika e alle visite dei presidenti russi Eltsin e Putin a Giovanni Paolo II.
Interessante anche lo studio sul cambiamento della politica di informazione in URSS grazie a Giovanni Paolo II. A cominciare dalla reazione nel 1978 dei dirigenti sovietici alla elezione del Papa polacco. Boris Filippov mette in luce come i consiglieri di Gorbacev abbiano agito e venivano preparate le pubblicazioni delle informazioni.
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“ La fede in Russia ha dovuto attraversare molte prove nei mille anni di storia della Rus’ di Kiev, che dopo il giogo tartaro si trasforma in moscovita e poi nella Santa Russia a fine del medioevo, quindi nell’impero illuminista di San Pietroburgo, fino all’ateismo di stato dell’ Unione Sovietica, per poi rifiorire nella Russia di oggi”. Così Stefano Caprio apre la il saggio sulla rinascita della religiosità in Russia che accompagna il lettore anche allo spazio dei cattolici armeni in Russia fino alla storia del rapporto di Giovanni Paolo II con il Seminario maggiore cattolico Maria Regina degli Apostoli di San Pietroburgo. Una vicinanza speciale che ha portato più di un vescovo alla Chiesa in Russia.