Verona , venerdì, 28. maggio, 2021 18:00 (ACI Stampa).
Dante degli Alighieri viene cacciato dalla sua Firenze. Comincia una vita difficile, quella dell’esiliato, senza una patria, senza più avere neppure l’idea di quale sarebbe stato il suo destino. Solo due cose, forse, gli sono chiare: la sua fede e la coscienza della sua grandezza come poeta. Ed ecco che proprio nei primi anni dell’esilio Dante si trova a Verona.
Lo ospita e protegge Cangrande della Scala, signore della città, a cui il poeta si lega con vincoli di amicizia, riconoscenza e stima. Dopo quel primo soggiorno, Dante ritorna, riconoscente: non a caso nel Paradiso si dichiara che Verona è stata “lo primo tuo refugio e ’l primo ostello” (Paradiso, XVII, 70). E Cangrande trova la strada dell’immortalità sulla terra, perché proprio a lui viene dedicata la terza cantica della Divina Commedia. Lungo le vie della città scaligera, già così bella e ricca di ispirazione, negli anni in cui qui vive, fin quasi al tempo della sua morte, Dante contempla quella bellezza terrena che -specchio limitato ma luminoso – riflesse un pallido riverbero di quella luce che inonda il mondo della beatitudine eterna.
Nella piccola e perfetta chiesa di Sant’Elena, dall’impianto altomedievale ancora oggi in buona parte conservato, adiacente alla Cattedrale, il 20 gennaio 1320 il poeta tiene una lectio pubblica per spiegare il fenomeno dell’emersione delle terre sopra la superficie delle acque, quella sua Quaestio de aqua et terra, da cui spera di trarre fama e riconoscimenti. Non sarà così, ma quella chiesa gli rimane nel cuore.
Deve aver camminato assorto per quelle strade strette e costeggiate da nobili palazzi e odorosi giardini, e raggiunto, dopo Sant’Elena, le sale della Biblioteca Capitolare, una delle più antiche al mondo, ricca di manoscritti preziosi, in cui la sua passione di studioso e di lettore innamorato die classici trova non solo conforto, ma ore di autentica gioia.
E quanti momenti di meditazione e di preghiera deve aver vissuto nella stupefacente San Zeno Maggiore, capolavoro del romanico lombardo, capace di ispirargli una scena importante nel XVIII canto del Purgatorio, con Gerardo, abate di San Zeno, vissuto al tempo del Barbarossa. Ancora una chiesa amata con tutta probabilità dal poeta tormentato dalle pene della sua vita ma anche fisso nelle visioni del suo viaggio nell’aldilà: Sant’Anastasia, che in quei giorni è ancora tutta in costruzione ma presso il cui cantiere Dante si ferma a guardare e a mormorare qualche preghiera.