Telefonata tra Papa Francesco e il presidente turco Erdogan
Lo scorso 18 maggio, Papa Francesco e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan hanno avuto una conversazione telefonica. La conversazione avveniva a seguito dello scoppio del conflitto tra Israele e Hamas, che ha visto presa di mira anche Gerusalemme.
In una successiva dichiarazione, Lutfullah Goktas, ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede, ha voluto sottolineare che la telefonata “dimostra l’importanza che la Turchia attribuisce ai rapporti con la Santa Sede anche sulla questione di Gerusalemme. Essa costituisce la quarta conversazione telefonica fra i due leader dal 2017”.
L’ambasciatore afferma che Gerusalemme è “considerata città sacra da ebrei, cristiani e musulmani”, ricorda che “come è stato ribadito in ogni occasione dal Presidente Erdoğan, la Turchia è contro ogni forma di violenza”.
“Gerusalemme – prosegue l’ambasciatore - deve diventare una città di pace per tutti. Ciò, potrebbe essere ottenuto tramite il riconoscimento di tutti i diritti dei Palestinesi e la cessazione degli attacchi israeliani contro i Palestinesi”.
L’ambasciatore lamenta “la continuazione della politica di occupazione da parte di Israele” che è “il principale ostacolo alla pace regionale. Gli attacchi contro i civili, tra cui anche bambini, la violenza e violazione contro la Moschea al-Aqsa, restrizioni e provocazioni sui luoghi di culto, compresa la Basilica del Santo Sepolcro non possono in nessuna circostanza essere giustificati”.
L’ambasciatore ribadisce che “la comunità internazionale non deve rimanere a guardare dinanzi ai recenti avvenimenti. La Turchia apprezza ogni impegno e ogni iniziativa mirata ad attuare la pace. La conversazione telefonica tra il Presidente Erdoğan e Papa Francesco durante il quale hanno scambiato opinioni sugli sviluppi recenti è un segno concreto di questo fatto”.
Conclude l’ambasciatore: “Il Presidente Erdoğan e Papa Francesco che sono determinati a rafforzare le relazioni bilaterali tra la Turchia e la Santa Sede rivolgono un appello alla comunità internazionale perché si compiano dei passi concreti per stabilire la pace. Le differenze religiose non possono mai impedire all’umanità intera di impegnarsi insieme per la pace”.
Da notare che il presidente Erdgan aveva visitato Papa Francesco il 5 febbraio 2018, e anche in quell’occasione il tema di discussione principale riguardava Gerusalemme. Gerusalemme fu anche al centro di altre due conversazioni telefoniche tra Papa Francesco e Erdogan, il 7 e 29 dicembre 2017.
La Turchia è stata visita da quattro Papi: Paolo VI nel 1967, Giovanni Paolo II nel 1979, Benedetto XVI nel 2006 e Papa Francesco nel 2014. E, sebbene la visita abbia avuto sempre tutte le cortesie diplomatiche del caso, il primo motivo di queste visite era ecumenico, perché a Istanbul c’è il Fanar, il “Vaticano” del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli.
Per quanto riguarda i rapporti diplomatici, questi sono in vigore dal 1960, grazie ai buoni uffici di San Giovanni XXIII, che veniva chiamato “il Papa turco” per il buon ricordo e il lavoro che aveva fatto a Istanbul quando vi era stato mandato come delegato apostolico tra il 1935 e il 1944. E fu lo stesso Papa turco, ad accogliere con un importante discorso, il primo ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede Cemal Erkin nel maggio 1962.
Da parte turca - spiega l'Ambasciata di Turchia presso la Santa Sede - , sono stati in Vaticano il Primo Ministro Adan Menderes nel 1955, quindi il già citato presidente Bayar nel 1959, il ministro degli Esteri Feridun Cemal Erkin nel 1963, il Primo Ministro Turgut Ozal nel 1988, poi il vice ministro Bekir Bozdag per tre volte e il vice primo ministro Emrullah İşler nel 2014: in quello stesso anno Mehmet Gormez, presidente del Dyianet, si lamentò che la Santa Sede non prendeva una posizione contro gli attacchi alla moschee in Europa.
I rapporti diplomatici sono buoni. Ultimo tema di discussione, la conversione della basilica di Santa Sofia e della chiesa di San Salvatore in Chora in moschee.
L’incontro tra Papa Francesco e il ministro degli esteri iraniano Zarif
Il 18 maggio, Papa Francesco ha incontrato Mohammad Javad Zarif, ministro degli Esteri di Iran. Zarif, che il 27 aprile era stato anche in Iraq e aveva incontrato anche il Cardinale Louis Raffael Sako, ha fatto sapere che i colloqui in Vaticano hanno riguardato “la situazione internazionale, le sanzioni imposte, l’etica nella comunità islamica, l’importanza di supportare la famiglia, e la Palestina”.
Zarif ha incontrato anche il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro per i rapporti con gli Stati. Ha detto che si è parlato anche delle relazioni bilaterali tra Iran e Vaticano.
In dichiarazioni successive all’incontro, Zarif ha lamentato la situazione dei palestinesi, ha affermato che le sanzioni imposte hanno un impatto terribile sulle persone e che la Chiesa cattolica è sensibile alla situazione in Libano.
Medio Oriente, patriarchi e vescovi affrontano la situazione
Vescovi e Patriarchi del Medio Oriente, riuniti in Aleppo dal 18 al 20 maggio, hanno sottolineato che Siria e Medio Oriente continuano vivere una situazione di sofferenza in cui “spaventose condizioni economiche” e l’esodo delle giovani generazioni fanno il paio con “pressioni geopolitiche insostenibili”.
La riunione di vescovi e patriarchi è stata presieduta dal Patriarca siro cattolico Youssif Younan III e dal patriarca greco cattolico melchita Youssef Absi. Vi prende parte anche il Cardinale Mario Zenari, nunzio in Siria.
Introducendo l’assemblea, i patriarchi Younan e Absi hanno parlato in particolare del ruolo di Caritas Siria e delle altre opere cattoliche nella ricostruzione del Paese, e dell’esigenza di sostenere i giovani soprattutto in campo educativo.
Il Cardinale Zenari anche ha sottolineato l’importanza di sostenere e sviluppare il lavoro di Caritas Siria per i poveri siriani, in numero sempre maggiore.
Riad Sargi, direttore esecutivo di Caritas Siria, ha invece puntato il dito contro le sanzioni economiche messe in atto contro la Siria (come il Caesar Act dell’amministrazione USA, emanato sotto Trump, ma confermato da Biden), perché queste vanno a colpire “i cittadini più vulnerabili nel cuore della loro vita quotidiana.
Cardinale Parolin: “Fare il possibile per porre fine ai conflitti”
Parlando con i giornalisti a margine della presentazione di un libro dedicato allo storico direttore dell’Osservatore Romano Mario Agnes, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha sottolineato la necessità di fare il possibile per porre fine ai conflitti.
La presentazione si è tenuta il 18 maggio presso l’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede, e il Cardinale Parolin era nel panel della presentazione.
Il Cardinale ha detto che c’è “una preoccupazione davvero grande” per quanto riguarda la situazione in Medio Oriente, una preoccupazione attribuita al fatto che “nonostante gli sforzi della comunità internazionale di raggiungere un cessate il fuoco, la situazione è andata in questo modo”. Il cessate il fuoco è stato proclamato solo nella notte del 20 maggio.
Il Cardinale ha anche sottolineato che non ci sono condizioni per una mediazione della Santa Sede, perché “qualcuno ha detto che non vogliono interferenze”, ma che tuttavia “è necessario che ogni azioni, ogni iniziativa di buona volontà porti ad un cessate il fuoco. Si devono riprendere negoziazioni dirette.
Libano, l’appello del Cardinale Rai. La crisi politica
Il 16 maggio, il Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei Maroniti, ha fatto l’ennesimo appello per il Libano. Dopo aver notato che le violenze subite dai palestinesi “fanno stringere il cuore”, ha chiesto anche che il Libano trovi “modi pacifici per manifestare la propria solidarietà per manifestare la propria solidarietà con il popolo palestinese, mantenendo la propria neutralità rispetto al conflitto armato ed evitando ogni tipo di coinvolgimento militare”.
L’appello alla neutralità del Paese è uno dei cavalli di battaglia del patriarca, che, dal tempo della crisi politica esacerbata dall’esplosione al porto di Beirut dell’agosto 2020, ha delineato il profilo di una “neutralità attiva” del Paese per poter uscire dalle secche della crisi politica e tornare ad essere punto di riferimento in Medio Oriente.
In particolare, il Cardinale Rai ha puntato il dito contro quanti sono “coinvolti direttamente o attraverso gruppi ausiliari” in quello che sta accadendo in Israele – il riferimento nascosto è al partito Hezbollah, che il cardinale aveva già attaccato in altre lettere. Il Libano – ha detto il patriarca – “non ha alcuna intenzione di distruggere il proprio Paese più di quanto esso sia devastato”, visto che “anche i libanesi hanno pagato abbastanza per questi conflitti fuori controllo.
Il patriarca si riferiva al lancio di tre missili in territorio israeliano partiti proprio dal Libano. Nel Paese dei Cedri – spiegano i dati ONU – ci sono 300 mila rifugiati palestinesi, raccolti in 12 campi profughi. Le condizioni sono difficili, a volte di estrema povertà.
Il Cardinale Rai non aveva mancato di stigmatizzare la presenza di Hezbollah nel territorio libanese a seguito dell’esplosione del porto di Beirut di agosto. Il Cardinale guarda anche con attenzione alla difficile situazione politica che si è creata nel Paese, dove Papa Francesco vorrebbe andare in visita entro l’anno.
Proprio alcune dichiarazioni su Hezbollah hanno provocato un terremoto politico in Libano, che hanno portato alle dimissioni di Charbel Webbi, cristiano maronita, ministro degli Esteri del Paese dei Cedri. Webbi era atteso per degli incontri in Vaticano in questi giorni.
L’ormai ex ministro degli Esteri, nelle sue dichiarazioni, aveva anche puntato il dito contro il ruolo di Paesi “amici e fraterni” nella diffusione dello Stato Islamico in Siria e Iraq, provocando le reazioni di alcuni Paesi del Golfo, e in particolare dell’Arabia Saudita, che ha convocato l’ambasciatore libanese a Riad.
FOCUS AMERICA LATINA
Bolivia, non approvata la nomina del nuovo ambasciatore presso la Santa Sede
Secondo la stampa boliviana, il 5 maggio scorso un dibattito segreto alla Commissione Esteri del Senato ha rifiutato a maggioranza la nomina di Julio Cesar Caballero Moreno come ambasciatore presso la Santa Sede. Caballero era già stato ambasciatore presso la Santa Sede dal 2016 al 2020. Dopo la caduta del presidente Evo Morales, era stato nominato da Papa Francesco capoufficio della Pontificia Commissione per l’America Latina, di cui ora è segretario.
Della sua nuova possibile nomina ad ambasciatore si era parlato nei mesi scorsi, cosa sempre smentita dallo stesso Caballero, che anche sul dibattito al Senato non vuole commentare.
Caballero Moreno, studioso militante del partito MAS (Movimiento al Socialismo), è stato dirigente delle campagne presidenziali di Evo Morales (eletto tre volte) e questa stretta amicizia con l'ex Presidente è alla base della sua nomina diplomatica presso il Vaticano.
FOCUS AFRICA
Kenya, il nunzio Van Megen: “I cristiani stiano lontani dal tribalismo”
Consacrando la cattedrale di Cristo Re nella diocesi di Bungoma, l’arcivescovo Bert van Megen, nunzio apostolico in Kenya, ha auspicato che il nuovo edificio contribuisca “ad una maggiore unità nella diocesi”, e ha sottolineato che nella casa del Signore “l’unica parola che deve essere pronunciata è la parola di Dio. Nessun dibattito politico. Nessun battibecco o maldicenza”. L’arcivescovo ha anche chiesto ai cristiani di tenersi alla larga dal tribalismo, che porta divisione, e abbracciare l’unità per far regnare la pace”. “I seguaci di Cristo – ha detto – sono la dimora dello Spirito Santo che ci chiama ad essere uniti”.
La cattedrale di Bungoma ha una capacità di 4 mila persone. È la più grande del Kenya.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede all’ONU di New York, la sicurezza in Africa
Il 19 maggio, si è tenuto un dibattito virtuale al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su Pace e Sicurezza in Africa.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha messo in luce l’iniziativa “Silenziare le pistole”, che purtroppo – ha detto – non è giunta a realizzazione, ma che dovrebbe. Ha quindi ricordato, citando Papa Francesco, che mentre resta una grave crisi dalla pandemia di COVID 19, i conflitti armati continuano a imperversare.
L’arcivescovo Caccia ha anche lodato l’assistenza umanitaria nella regione, chiedendo di dare la priorità ad educazione di qualità per i bambini africani. La povertà e la mancanza di educazione – ha detto – “accrescono il rischio di estrema povertà e di manipolazione che portano all’arruolamento nelle milizie”. Ha quindi spiegato l’impegno della Santa Sede nella regione, in campo educativo, ma anche sanitario.