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Diplomazia Pontificia, la questione palestinese, il nodo Gerusalemme

Le parole dell’ambasciatore Kassisieh. La telefonata del Papa con Erdogan. L’incontro con il ministro degli Esteri iraniano. Il Medio Oriente è stato al centtro della setitmana diplomatica della Santa Sede

Papa Francesco, Zarif | Papa Francesco con il ministro degli Esteri iraniano Zarif, Palazzo Apostolico Vaticano, 18 maggio 2021 | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco, Zarif | Papa Francesco con il ministro degli Esteri iraniano Zarif, Palazzo Apostolico Vaticano, 18 maggio 2021 | Vatican Media / ACI Group

Parlando ai nuovi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede il 21 maggio, Papa Francesco ha chiesto di pregare per la Terrasanta. Era il culmine di una settimana in cui le vicende della Terrasanta sono state cruciali nella diplomazia pontificia: dalla telefonata di Erdogan a Papa Francesco all’incontro del Papa con il ministro degli Esteri Zarif, i temi hanno sempre riguardato il conflitto Hamas – Israele, lo status di Gerusalemme. Va fatto nottare che il dialogo è avvenuto con Paesi musulmani, mentre le parole cristiane sono state lasciate alle Chiese presenti sul territorio.

A questo proposito, l’ambasciatore di Palestina presso la Santa Sede Kassisieh ha rilasciato una lunga dichiarazione ad ACI Stampa, definendo anche i temi dei colloqui che il ministro degli Esteri al Maliki ha avuto in Segreteria di Stato a inizio del mese.

Tra gli altri temi della settimana, la questione libanese, che tocca anche il tema del Medio Oriente.

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

Conflitto israelo-palestinese, la posizione dell’ambasciatore Kassisieh

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In una dichiarazione resa ad ACI Stampa, Issa Kassisieh, ambasciatore di Palestina presso la Santa Sede, mette in luce la posizione palestinese sul conflitto in corso; commenta gli Accordi di Abramo; spiega il lavoro che la Palestina sta facendo con la Santa Sede rivelando i temi degli incontri del ministro degli Esteri al Maliki in Segreteria di Stato lo scorso 7 maggio.

Le dichiarazioni dell’ambasciatore vengono mentre il conflitto tra Hamas e Israele era arrivato al culmine, e poco prima del coprifuoco. In 11 giorni di conflitto, sono stati sparati 4 mila razzi dalla striscia di Gaza in direzione di Israele, attacchi che hanno scatenato la reazione israeliana. I numeri parlano di 243 morti palestinesi e 12 morti israeliani al termine dei dieci giorni di battaglia.

L’ambasciatore Kassisieh, più che parlare di conflitto tra Hamas e Israele, parla di “un conflitto tra una intera nazione che combatte per la sua autodeterminazione, libertà e dignità”, e che riguarda il fatto di “terminare il controllo di una parte sui destini dell’altra”.

L’attuale conflitto – afferma l’ambasciatore – “dovrebbe essere messo in un contesto obiettivo”. L’ambasciatore punta il dito contro quella che chiama “occupazione israeliana” e quello che definisce un “sistema di apartheid” stabilitosi sotto l’amministrazione Nethanyahu, sottolineando la sventura di “vedere la coscienza della comunità mondiale improvvisamente svegliarsi in un tentativo di fermare il suo dei proiettili”, anche perché le voci che “ripetutamente chiedono giustizia e pace in Terrasanta restano spesso inascoltate”.

L’ambasciatore Kassisieh ha sottolineato che “il popolo palestinese vuole semplicemente vivere come ogni altra nazione del mondo, nel suo Stato indipendente, con dignità e libertà basata su una legittimità internazionale”, e che vuole “visitare i suoi luoghi santi nella Città Santa di Gerusalemme senza provocazioni, intimidazioni e barricate sulla loro strada della preghiera”, come non è successo ai musulmani palestinesi durante il mese di Ramadan del 2021, e come non è successo ai cristiani palestinesi, quando volevano pregare nel Santo Sepolcro e nelle sue vicinanze, denuncia Kassisieh.

L’ambasciatore dice che gli eventi di Gerusalemme Est, “inclusa la cacciata di decine di famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah perché fossero sostituite con coloni di destra” sarebbero potuti essere evitati “se il poetre della saggezza avesse prevalso”.

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Per quanto riguarda gli accordi di Abramo, accolti anche con speranza dalla Santa Sede, l’ambasciatore Kassisieh sottolinea che questi accordi saranno “legittimi” e ratificati solo quando “la città Santa di Gerusalemme diventerà il caldo sole del Medio Oriente e non il suo buco nero. Gli accordi di Abramo funzioneranno quando le polittiche di esclusività a Gerusalemme si fermeranno e le politiche di inclusività diventeranno la norma”.

Per l’ambasciatore Kassisieh, “fraternità, giustizia e pace cominciano da Gerusalemme” e “la fraternità richiede il principio basico che siamo tutti fratelli come esseri umani, e ciascuno deve rispettare il diritto all’esistenza dell’altro senza pregiudizio o supremazia”.

Kassisieh aggiunge che “gli accordi di Abramo saranno rilevanti quando toccheremo le cause alla base dell’instabilità della regione, e in questo caso la questione Palestinese. L’occupazione israeliana deve terminare. O lo facciamo o non riusciamo a Gerusalemme. Spero che la Santa Sede, con il suo potere morale e legale, si muova in questa direzione per assicurare che i figli di Abramo siano trattati con rispetto ed eguaglianza”.

Parlando degli incontri in Segretari di Stato del ministro al Maliki, Kassisieh ha detto di aver partecipato alla riunione del ministro con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri vaticano”, insieme a monsignor Marco Formica, il direttore generale che gestisce il desk del Medio Oriente in Segreteria di Stato.

L’incontro – ha detto Kassisieh – “ha riguardato gli ultimi sviluppi politici, incluso il veto di Israele di permettere le nostre elezioni legislative a Gerusalemme come stipulato negli accordi bilaterali. Si è anche menzionata la necessità di organizzare presto le elezioni”.

Il ministro ha detto che si è anche parlato delle “provocatorie azioni di Israele contro i fedeli musulmani durante il Ramadan, così come gli impedimenti operati dalle forze di sicurezza israeliane ai credenti cristiani perché non raggiungessero il Santo Sepolcro il Giovedì Santo”.

Nei colloqui, “la leadership palestinese ha espresso le sue preoccupazioni riguardo il sempre minor numero di cristiani palestinesi in Terrasanta e ha notato il bisogno urgente di salvare la rimanente presenza di cristiani”.

Santa Sede e Palestina, ha concluso l’ambasciatore, hanno concordato che “la Città Santa di Gerusalemme deve essere condivisa dalle tre religioni monoteistiche. Ogni accordo futuro deve tenere in considerazione lo status della città”. E “la discussione sulla Striscia di Gaza è parte della visione olistica che la soluzione di due Stati sui confini del 1967 resta l’unica soluzione pratica per raggiungere una pace durevole e generale”.

Per quanto riguarda l’impegno della Santa Sede, l’ambasciatore Kassisieh ricorda che la Santa Sede ha “riconosciuto lo Stato di Palestina basato sui confini del 1967 e rilevanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite”, e dunque la Santa Sede ha “pienamente sostenuto la soluzione dei due Stati come un percorso genuino per la coesistenza e la pace durevole in Medio Oriente”.

Dopo aver ricordato gli appelli della Santa Sede, l’ambasciatore chiede che si ascolti “l’appello del Papa” e che si focalizzino gli sforzi sul fermare la violenza, con “una volta politica di decrescere la tensione attraverso una significativa road map”.

Non ci sono dubbi – sottolinea ancora l’ambasciatore – che “gli sforzi diplomatici della Santa Sede si intensificheranno con il Quartetto per il Medio Oriente e con gli stakeholders regionali per assicurarsi una durevole giustizia e pace”.

Infine, l’ambasciatore fa appello alle istituzioni cattoliche (dalle missioni a Caritas Internationalis) affinché “raddoppino i loro sforzi per alleviare l’urgente assistenza umanittaria nella striscia di Gaza”, con la speranza che il Papa metta una buona parola perché l’Ospedale Bambino Gesù riceva i bambini con le ferite peggiori”.

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Telefonata tra Papa Francesco e il presidente turco Erdogan

Lo scorso 18 maggio, Papa Francesco e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan hanno avuto una conversazione telefonica. La conversazione avveniva a seguito dello scoppio del conflitto tra Israele e Hamas, che ha visto presa di mira anche Gerusalemme.

In una successiva dichiarazione, Lutfullah Goktas, ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede, ha voluto sottolineare che la telefonata “dimostra l’importanza che la Turchia attribuisce ai rapporti con la Santa Sede anche sulla questione di Gerusalemme. Essa costituisce la quarta conversazione telefonica fra i due leader dal 2017”.

L’ambasciatore afferma che Gerusalemme è “considerata città sacra da ebrei, cristiani e musulmani”, ricorda che “come è stato ribadito in ogni occasione dal Presidente Erdoğan, la Turchia è contro ogni forma di violenza”.

“Gerusalemme – prosegue l’ambasciatore - deve diventare una città di pace per tutti. Ciò, potrebbe essere ottenuto tramite il riconoscimento di tutti i diritti dei Palestinesi e la cessazione degli attacchi israeliani contro i Palestinesi”.

L’ambasciatore lamenta “la continuazione della politica di occupazione da parte di Israele” che è “il principale ostacolo alla pace regionale. Gli attacchi contro i civili, tra cui anche bambini, la violenza e violazione contro la Moschea al-Aqsa, restrizioni e provocazioni sui luoghi di culto, compresa la Basilica del Santo Sepolcro non possono in nessuna circostanza essere giustificati”.

L’ambasciatore ribadisce che “la comunità internazionale non deve rimanere a guardare dinanzi ai recenti avvenimenti. La Turchia apprezza ogni impegno e ogni iniziativa mirata ad attuare la pace. La conversazione telefonica tra il Presidente Erdoğan e Papa Francesco durante il quale hanno scambiato opinioni sugli sviluppi recenti è un segno concreto di questo fatto”.

Conclude l’ambasciatore: “Il Presidente Erdoğan e Papa Francesco che sono determinati a rafforzare le relazioni bilaterali tra la Turchia e la Santa Sede rivolgono un appello alla comunità internazionale perché si compiano dei passi concreti per stabilire la pace. Le differenze religiose non possono mai impedire all’umanità intera di impegnarsi insieme per la pace”.

Da notare che il presidente Erdgan aveva visitato Papa Francesco il 5 febbraio 2018, e anche in quell’occasione il tema di discussione principale riguardava Gerusalemme. Gerusalemme fu anche al centro di altre due conversazioni telefoniche tra Papa Francesco e Erdogan, il 7 e 29 dicembre 2017.

La Turchia è stata visita da quattro Papi: Paolo VI nel 1967, Giovanni Paolo II nel 1979, Benedetto XVI nel 2006 e Papa Francesco nel 2014. E, sebbene la visita abbia avuto sempre tutte le cortesie diplomatiche del caso, il primo motivo di queste visite era ecumenico, perché a Istanbul c’è il Fanar, il “Vaticano” del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli.

Per quanto riguarda i rapporti diplomatici, questi sono in vigore dal 1960, grazie ai buoni uffici di San Giovanni XXIII, che veniva chiamato “il Papa turco” per il buon ricordo e il lavoro che aveva fatto a Istanbul quando vi era stato mandato come delegato apostolico tra il 1935 e il 1944. E fu lo stesso Papa turco, ad accogliere con un importante discorso, il primo ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede Cemal Erkin nel maggio 1962.

Da parte turca - spiega l'Ambasciata di Turchia presso la Santa Sede - , sono stati in Vaticano il Primo Ministro Adan Menderes nel 1955, quindi il già citato presidente Bayar nel 1959, il ministro degli Esteri Feridun Cemal Erkin nel 1963, il Primo Ministro Turgut Ozal nel 1988, poi il vice ministro Bekir Bozdag per tre volte  e il vice primo ministro Emrullah İşler nel 2014: in quello stesso anno Mehmet Gormez, presidente del Dyianet, si lamentò che la Santa Sede non prendeva una posizione contro gli attacchi alla moschee in Europa.

I rapporti diplomatici sono buoni. Ultimo tema di discussione, la conversione della basilica di Santa Sofia e della chiesa di San Salvatore in Chora in moschee.

L’incontro tra Papa Francesco e il ministro degli esteri iraniano Zarif

Il 18 maggio, Papa Francesco ha incontrato Mohammad Javad Zarif, ministro degli Esteri di Iran. Zarif, che il 27 aprile era stato anche in Iraq e aveva incontrato anche il Cardinale Louis Raffael Sako, ha fatto sapere che i colloqui in Vaticano hanno riguardato “la situazione internazionale, le sanzioni imposte, l’etica nella comunità islamica, l’importanza di supportare la famiglia, e la Palestina”.

Zarif ha incontrato anche il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro per i rapporti con gli Stati. Ha detto che si è parlato anche delle relazioni bilaterali tra Iran e Vaticano.

In dichiarazioni successive all’incontro, Zarif ha lamentato la situazione dei palestinesi, ha affermato che le sanzioni imposte hanno un impatto terribile sulle persone e che la Chiesa cattolica è sensibile alla situazione in Libano.

Medio Oriente, patriarchi e vescovi affrontano la situazione

Vescovi e Patriarchi del Medio Oriente, riuniti in Aleppo dal 18 al 20 maggio, hanno sottolineato che Siria e Medio Oriente continuano vivere una situazione di sofferenza in cui “spaventose condizioni economiche” e l’esodo delle giovani generazioni fanno il paio con “pressioni geopolitiche insostenibili”.

La riunione di vescovi e patriarchi è stata presieduta dal Patriarca siro cattolico Youssif Younan III e dal patriarca greco cattolico melchita Youssef Absi. Vi prende parte anche il Cardinale Mario Zenari, nunzio in Siria.

Introducendo l’assemblea, i patriarchi Younan e Absi hanno parlato in particolare del ruolo di Caritas Siria e delle altre opere cattoliche nella ricostruzione del Paese, e dell’esigenza di sostenere i giovani soprattutto in campo educativo.

Il Cardinale Zenari anche ha sottolineato l’importanza di sostenere e sviluppare il lavoro di Caritas Siria per i poveri siriani, in numero sempre maggiore.

Riad Sargi, direttore esecutivo di Caritas Siria, ha invece puntato il dito contro le sanzioni economiche messe in atto contro la Siria (come il Caesar Act dell’amministrazione USA, emanato sotto Trump, ma confermato da Biden), perché queste vanno a colpire “i cittadini più vulnerabili nel cuore della loro vita quotidiana.

Cardinale Parolin: “Fare il possibile per porre fine ai conflitti”

Parlando con i giornalisti a margine della presentazione di un libro dedicato allo storico direttore dell’Osservatore Romano Mario Agnes, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha sottolineato la necessità di fare il possibile per porre fine ai conflitti.

La presentazione si è tenuta il 18 maggio presso l’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede, e il Cardinale Parolin era nel panel della presentazione.

Il Cardinale ha detto che c’è “una preoccupazione davvero grande” per quanto riguarda la situazione in Medio Oriente, una preoccupazione attribuita al fatto che “nonostante gli sforzi della comunità internazionale di raggiungere un cessate il fuoco, la situazione è andata in questo modo”. Il cessate il fuoco è stato proclamato solo nella notte del 20 maggio.

Il Cardinale ha anche sottolineato che non ci sono condizioni per una mediazione della Santa Sede, perché “qualcuno ha detto che non vogliono interferenze”, ma che tuttavia “è necessario che ogni azioni, ogni iniziativa di buona volontà porti ad un cessate il fuoco. Si devono riprendere negoziazioni dirette.

Libano, l’appello del Cardinale Rai. La crisi politica

Il 16 maggio, il Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei Maroniti, ha fatto l’ennesimo appello per il Libano. Dopo aver notato che le violenze subite dai palestinesi “fanno stringere il cuore”, ha chiesto anche che il Libano trovi “modi pacifici per manifestare la propria solidarietà per manifestare la propria solidarietà con il popolo palestinese, mantenendo la propria neutralità rispetto al conflitto armato ed evitando ogni tipo di coinvolgimento militare”.

L’appello alla neutralità del Paese è uno dei cavalli di battaglia del patriarca, che, dal tempo della crisi politica esacerbata dall’esplosione al porto di Beirut dell’agosto 2020, ha delineato il profilo di una “neutralità attiva” del Paese per poter uscire dalle secche della crisi politica e tornare ad essere punto di riferimento in Medio Oriente.

In particolare, il Cardinale Rai ha puntato il dito contro quanti sono “coinvolti direttamente o attraverso gruppi ausiliari” in quello che sta accadendo in Israele – il riferimento nascosto è al partito Hezbollah, che il cardinale aveva già attaccato in altre lettere. Il Libano – ha detto il patriarca – “non ha alcuna intenzione di distruggere il proprio Paese più di quanto esso sia devastato”, visto che “anche i libanesi hanno pagato abbastanza per questi conflitti fuori controllo.

Il patriarca si riferiva al lancio di tre missili in territorio israeliano partiti proprio dal Libano. Nel Paese dei Cedri – spiegano i dati ONU – ci sono 300 mila rifugiati palestinesi, raccolti in 12 campi profughi. Le condizioni sono difficili, a volte di estrema povertà.

Il Cardinale Rai non aveva mancato di stigmatizzare la presenza di Hezbollah nel territorio libanese a seguito dell’esplosione del porto di Beirut di agosto. Il Cardinale guarda anche con attenzione alla difficile situazione politica che si è creata nel Paese, dove Papa Francesco vorrebbe andare in visita entro l’anno.

Proprio alcune dichiarazioni su Hezbollah hanno provocato un terremoto politico in Libano, che hanno portato alle dimissioni di Charbel Webbi, cristiano maronita, ministro degli Esteri del Paese dei Cedri. Webbi era atteso per degli incontri in Vaticano in questi giorni.

L’ormai ex ministro degli Esteri, nelle sue dichiarazioni, aveva anche puntato il dito contro il ruolo di Paesi “amici e fraterni” nella diffusione dello Stato Islamico in Siria e Iraq, provocando le reazioni di alcuni Paesi del Golfo, e in particolare dell’Arabia Saudita, che ha convocato l’ambasciatore libanese a Riad.

                                                FOCUS AMERICA LATINA

Bolivia, non approvata la nomina del nuovo ambasciatore presso la Santa Sede

Secondo la stampa boliviana, il 5 maggio scorso un dibattito segreto alla Commissione Esteri del Senato ha rifiutato a maggioranza la nomina di Julio Cesar Caballero Moreno come ambasciatore presso la Santa Sede. Caballero era già stato ambasciatore presso la Santa Sede dal 2016 al 2020. Dopo la caduta del presidente Evo Morales, era stato nominato da Papa Francesco capoufficio della Pontificia Commissione per l’America Latina, di cui ora è segretario.

Della sua nuova possibile nomina ad ambasciatore si era parlato nei mesi scorsi, cosa sempre smentita dallo stesso Caballero, che anche sul dibattito al Senato non vuole commentare.

Caballero Moreno, studioso militante del partito MAS  (Movimiento al Socialismo), è stato dirigente delle campagne presidenziali di Evo Morales (eletto tre volte) e questa stretta amicizia con l'ex Presidente è alla base della sua nomina diplomatica presso il Vaticano.

                                                FOCUS AFRICA

Kenya, il nunzio Van Megen: “I cristiani stiano lontani dal tribalismo”

Consacrando la cattedrale di Cristo Re nella diocesi di Bungoma, l’arcivescovo Bert van Megen, nunzio apostolico in Kenya, ha auspicato che il nuovo edificio contribuisca “ad una maggiore unità nella diocesi”, e ha sottolineato che nella casa del Signore “l’unica parola che deve essere pronunciata è la parola di Dio. Nessun dibattito politico. Nessun battibecco o maldicenza”. L’arcivescovo ha anche chiesto ai cristiani di tenersi alla larga dal tribalismo, che porta divisione, e abbracciare l’unità per far regnare la pace”. “I seguaci di Cristo – ha detto – sono la dimora dello Spirito Santo che ci chiama ad essere uniti”.

La cattedrale di Bungoma ha una capacità di 4 mila persone. È la più grande del Kenya.

                                                FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede all’ONU di New York, la sicurezza in Africa

Il 19 maggio, si è tenuto un dibattito virtuale al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su Pace e Sicurezza in Africa.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha messo in luce l’iniziativa “Silenziare le pistole”, che purtroppo – ha detto – non è giunta a realizzazione, ma che dovrebbe. Ha quindi ricordato, citando Papa Francesco, che mentre resta una grave crisi dalla pandemia di COVID 19, i conflitti armati continuano a imperversare.

L’arcivescovo Caccia ha anche lodato l’assistenza umanitaria nella regione, chiedendo di dare la priorità ad educazione di qualità per i bambini africani. La povertà e la mancanza di educazione – ha detto – “accrescono il rischio di estrema povertà e di manipolazione che portano all’arruolamento nelle milizie”. Ha quindi spiegato l’impegno della Santa Sede nella regione, in campo educativo, ma anche sanitario.