Gerusalemme , martedì, 18. maggio, 2021 10:00 (ACI Stampa).
“Purtroppo non è la prima volta e temo nemmeno l'ultima in cui dovremo affrontare queste esplosioni di violenza e di guerra in Terra Santa. Questi focolai di violenza non faranno che lasciare più macerie, morti, animosità e sentimenti di odio, ma non porteranno alcuna soluzione. Finché non decideremo di affrontare veramente i problemi temo che saremo costretti a assistere ad altra violenza e altro dolore”. Lo ha detto il Patriarca Latino di Gerusalemme, Monsignor Pierbattista Pizzaballa.
“Gerusalemme – ha osservato il Patriarca - è il cuore del problema. Com'è noto, tutto è iniziato con la ben nota questione di Shekh Jarrah, che è stata presentata come una questione giuridica. Tuttavia si tratta evidentemente anche di una decisione politica di un'ulteriore espansione degli insediamenti israeliani a Gerusalemme est. È una decisione che cambia l'equilibrio tra le due parti della città e questo crea tensioni e sofferenze. La soluzione non può che essere il risultato del dialogo tra israeliani e palestinesi, che dovranno entrambi fare propria la vocazione aperta, multireligiosa e multiculturale della città”.
“Il popolo palestinese – ha proseguito Monsignor Pizzaballa - attende da anni una soluzione dignitosa, un futuro sereno e pacifico, nella sua terra, nel suo paese. Per loro sembra che non ci sia posto al mondo e sono continuamente invitati dalle varie Cancellerie ad attendere un futuro sconosciuto e continuamente rimandato. Ma ancora più preoccupante è stata l'esplosione di violenza nelle città multietniche di Israele, dove ebrei e arabi hanno sempre vissuto insieme. Abbiamo assistito alla violenza, ai tentativi di linciaggio da entrambe le parti: un'esplosione di odio e rifiuto dell'altro che probabilmente si stava preparando da tempo e che ora è emerso violentemente e ha trovato tutti impreparati e spaventati”.
“Dovremo lavorare – ha auspicato ancora il Patriarca - con le tante persone, di tutte le fedi, che credono ancora in un futuro insieme e sono impegnate in esso. Sono tanti, ma hanno bisogno di sostegno. Non dobbiamo coltivare o permettere che si sviluppino sentimenti di odio. Dobbiamo fare in modo che nessuno, sia ebreo che arabo, si senta respinto. Dovremo essere più chiari nel denunciare le divisioni. Non possiamo più accontentarci di incontri di pace interreligiosi, pensando che con queste iniziative abbiamo risolto il problema della convivenza tra di noi. Ma dovremo davvero impegnarci affinché nelle nostre scuole, nelle nostre istituzioni, nei media, nella politica, nei luoghi di culto, il nome di Dio, del fratello e del compagno di vita, risuoni. Dovremo imparare ad essere più attenti al linguaggio che usiamo e a prendere coscienza che la ricostruzione di un modello serio di relazioni tra di noi richiederà molto tempo, pazienza e coraggio. Avremo bisogno di una nuova alleanza tra persone di buona volontà che, indipendentemente dalla fede, dall'identità e dalla visione politica, sentano l'altro come parte di se stessi”.
“Questa crisi – ha concluso - deve riportare la questione israelo-palestinese al centro dell'agenda internazionale, che ultimamente sembrava dimenticata e superata, ma che tuttavia ha sempre continuato ad essere una ferita dolorosa. La ferita era nascosta, ma non guarita. Vi invito a pregare per la Chiesa di Gerusalemme, perché sia una Chiesa che vada oltre le mura e le porte chiuse; che crede, annuncia, costruisce la pace: abbiamo già assistito troppe volte ad annunci di pace traditi e offesi. La Chiesa dovrà costruire la pace che è frutto dello Spirito, che dà vita e fiducia senza mai stancarsi”.