Il secondo problema che vediamo è quello che chiamiamo nazionalismo etnico-religioso. Prendiamo l’India, per esempio. L’India è a maggioranza indù. E c’è sempre stata tensione tra indù e musulmani, tra indù e cristiani. Ma quello che sta succedendo di recente è che un partito politico a maggioranza indù, il Bharatiya Janata Party, ha preso questa tensione storica e l’ha strumentalizzata, l’ha usata per i propri interessi politici. Perché? Perché il presidente Narendra Modi è in sofferenza, il suo programma economico, non sta andando bene come avrebbe voluto. Così usa questo strumento nazionalistico e questo strumento nazionalistico».
E qual è la terza causa di preoccupazione?
«Si tratta dei governi autoritari. E qui ci sono davvero due esempi classici. Della Corea del Nord possiamo davvero parlarne in termini di “politica di sterminio”. Cioè, chiunque non sia d’accordo con il culto della personalità di Kim Jung-Un è fondamentalmente messo da parte, in particolare i cristiani. I gruppi di fede sono considerati una minaccia per questo particolare regime autoritario. Il secondo paese a preoccupare, dove vediamo un problema simile, è la Cina, con sempre maggiori violazioni della libertà religiosa, in particolare contro i 30 milioni di musulmani e i circa 100 milioni di cristiani di diverse confessioni. Il pericolo che vediamo accadere in Cina è soprattutto l’uso della tecnologia come strumento di repressione. Potremmo definirla tecno-tirannia. La Cina ha piazzato più di 600 milioni di telecamere in tutto il paese. A Pechino, quando si cammina per strada, ci sono sensori agli incroci principali e questi sensori possono leggere i telefoni cellulari che sono nelle tasche delle persone. L’ultimo elemento è la registrazione vocale. Tutto questo è completato da quello che chiamano il sistema di credito sociale. Ossia se vivi come un buon cittadino e fai cose buone in favore del partito comunista, guadagni punti. Se invece, per esempio, sei qualcuno che frequenta troppo una chiesa o un tempio, ottieni punti negativi».
C’è qualche altro paese in cui la libertà religiosa è costantemente violata ma è completamente dimenticato dai media internazionali?
«L’esempio che mi viene in mente è quello delle isole Maldive che sono una destinazione turistica, eppure, allo stesso tempo, un governo estremamente oppressivo. Promuove una forma molto rigida di Islam sunnita. E chiunque non sia musulmano non ha il diritto di diventare cittadino».
Un paio di anni fa c’erano organizzazioni terroristiche come lo Stato Islamico o Al-Qaeda che hanno ottenuto molta attenzione internazionale a causa degli orribili crimini che stavano commettendo. Non se ne parla più così tanto. Questo significa che sono stati sconfitti?
«No, ISIS e Al-Qaeda sono ancora molto presenti. Il problema è che molti di questi combattenti dell’ISIS si sono fatti strada fino in Africa. Qui, questi gruppi internazionali non creano nuovi problemi, ma entrano nei problemi esistenti esacerbandoli, portandovi un elemento religioso. Arrivano in Africa e replicano quello che volevano fare in Siria e in Iraq, cioè creare califfati. Per esempio, ora in Burkina Faso, gli aiuti umanitari non sono in grado di accedere nel 60% del territorio a causa della violenza e dell’instabilità. Quando le persone sono cacciate dalle loro fattorie, non possono mietere, il che significa che il prossimo passo sarà la carestia in molti di questi paesi. Perché, appunto, i contadini non possono coltivare. E così si creano rifugiati in enormi campi di sfollamento. Stiamo parlando di 500-600 mila per ciascuno paese, sia il Ciad, sia il Camerun, sia la Repubblica Centrafricana. Queste aree sono ora il prossimo problema, ossia un’enorme crisi umanitaria che sta per arrivare e – anche se non lo abbiamo ancora capito - provocherà più migrazioni».
Qual è il prossimo passo per il Rapporto sulla libertà religiosa dopo il suo lancio?
«L’idea è di sensibilizzare ora il mondo accademico, i giornalisti, i media, i leader politici. Il Rapporto sulla libertà religiosa è uno strumento importante per sensibilizzare e far passare il messaggio che, se la comunità internazionale non presta attenzione a quello che succede in Cina, se la comunità internazionale non presta attenzione a quello che succede in Africa, il mondo, la comunità internazionale si troverà ad affrontare un problema reale. Forse abbiamo ancora un po’ di tempo, ma il mondo deve agire».
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.