Città del Vaticano , lunedì, 10. maggio, 2021 18:00 (ACI Stampa).
Quando Papa Paolo Vi decide di pubblicare la Marialis cultus, una esortazione apostolica, indirizzata “a tutti i vescovi aventi pace e comunione con la Sede Apostolica” non sono passati neanche dieci anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II.
E’ il 2 febbraio del 1974. Non ci fu un particolare dibattito sul testo e anche in ambito protestante fu accolta con favore. Il merito è certo del tono pacato, del linguaggio della organicità e quindi della apertura al dialogo che San Paolo VI usò per unire la tradizione alle necessità del mondo contemporaneo.
Lo scopo era in primo luogo quello di rivalutare la pietà mariana che in periodo post conciliare sembrava dover andare in disuso. Il Papa ne mostrava i fondamenti biblici e teologici el’efficacia pastorale. Così diede nuova dignità alla pietà mariana, e indicò il corretto ordinamento e sviluppo del culto verso Maria.
Come spiega Corrado Maggioni sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti, “in un momento storico difficile, tra opposte tendenze, la Marialis cultus fu come l'accensione di una lampada che aiutò tutti a vedere meglio il posto di Maria nella pietà liturgica e non: gli scettici trovarono convincenti indicazioni per una fondata pietà mariana; i sostenitori vi trovarono la sintesi di quanto avrebbero voluto dire sulla comunione orante con la Madre di Cristo e della Chiesa; i timidi vi trovarono validi motivi per una riscoperta della presenza viva di Maria nel mistero del culto cristiano; i nostalgici vi trovarono la spiegazione che col rinnovamento liturgico nulla si era inteso togliere all'alma Madre di Dio, ma solo purificare affinché risplendesse meglio ciò che doveva brillare; i fanatici vi trovarono indicati i limiti di una corretta e fruttuosa devozione alla Vergine Santissima; gli ostili, infine, vi trovarono il necessario richiamo a stimare, nella preghiera comune e personale, la compagnia e l'esempio di Maria”.