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Hans Küng, e quel libro inviato a Papa Francesco

C’è un libro che il famoso teologo, morto a 93 anni la scorsa settimana, aveva lasciato a Papa Francesco. Il quale lo aveva inviato all’allora Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

Hans Küng | Una immagine recente del teologo Hans Küng, morto a 93 anni lo scorso 6 aprile | Weltethos Stiftung Hans Küng | Una immagine recente del teologo Hans Küng, morto a 93 anni lo scorso 6 aprile | Weltethos Stiftung

Il teologo svizzero Hans Küng pubblicò il libro Onestà nel 2011, e lì vi tratteggiava una nuova etica economica, contro la religione del libero mercato e per una economia più equa ed efficace. E a chi, se non a Papa Francesco, inviare il libro? Il teologo tedesco vi accluse una dedica personale, e lo fece pervenire al Papa. Questi lo diede, durante una udienza, al Cardinale Peter Turkson, allora presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. E lì, in dicastero, si trovava questo libro, alla fine del 2014.

Non è stato il solo momento in cui Hans Küng e Papa Francesco si sono in qualche modo “toccati”. Il teologo di lingua tedesca più letto al mondo insieme a Joseph Ratzinger, ma a differenza di Ratzinger amato dal mondo secolare, è morto lo scorso 6 aprile a 93 anni nella sua Tubinga. Dopo la pubblicazione del libro “Infallibile?” a fine anni Settanta, gli fu revocata la possibilità di insegnare teologia cattolica per le sue tesi eterodosse. Ma rimase saldamente a capo del centro ecumenico da lui fondato, e rimase sempre, fino alla morte, sacerdote cattolico.

Onestà era un volume che metteva insieme, e applicava all’economia, tutto il lavoro sull’etica globale fatto da Küng nel corso degli anni. Un lavoro che lo aveva portato anche a fondare la Weltethos Stiftung, la Fondazione per l’Etica Globale, con un manifesto che era stato poi in gran parte fatto proprio dal Parlamento delle Religioni del Mondo, che nel 1993, nel centenario della fondazione, riunendosi con 8 mila diversi aderenti lo aveva lanciato. Il rilancio di questo “Parlamento” era stato oggetto dell’ultimo incontro tra Papa Francesco e Shimon Peres il 4 settembre 2014. Il presidente israeliano, che nel giugno precedente era stato protagonista della Preghiera per la Pace nei Giardini Vaticani insieme al presidente palestinese Mahmoud Abbas.

È stata questa la seconda volta che Papa Francesco e le idee di Hans Küng si sono indirettamente incontrati. In fondo, questa idea di etica globale si ritrova nella Fratelli Tutti, nonché nel percorso di avvicinamento del Papa prima all’Islam sunnita con gli incontri con il Grande Imam di al Azhar, il viaggio in Egitto e la Dichiarazione sulla Fraternità firmata ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019; e poi con l’Islam sciita, simboleggiato dall’incontro con il Grande Ayatollah al Sistani lo scorso 6 marzo in Iraq.

Mentre l’idea di una etica globale per l’economia era già parte del lavoro del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che proprio nel 2011 invocava una autorità mondiale con competenze universali perché ci fosse una governance sui flussi finanziari, ed è poi anche confluita nella Laudato Si di Papa Francesco.

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In qualche modo, Hans Küng è sempre stato influente, ha sempre anticipato i grandi dibattiti. Lo ha fatto con spirito provocatore, e ha volte con un punto di vista quasi da esterno alla fede. Ed è per questo che lui e Joseph Ratzinger erano diventati amici durante il Concilio, salvo poi distanziarsi per via delle ben note divergenze teologiche. Benedetto XVI, poi, lo invitò a Castel Gandolfo, e i due conversarono per quattro ore, mantenendo il “tu” di quando erano professori, e proseguendo una corrispondenza che fu svelata dallo stesso Küng quando, al culmine degli attacchi alla Chiesa sugli abusi, lanciò una severa critica a Benedetto XVI per il modo in cui stava gestendo la situazione. L

La morte di Hans Küng non ha destato solo l’interesse del mondo progressista e secolare, ma anche di insospettabili come il missionario Gianni Criveller, che lo aveva incontrato a Pechino, dove erano coinvolti nelle iniziative del movimento accademico dei ‘cristiani culturali’. Si trattava di un gruppo di studiosi che dal 1990 al 2013 aveva sviluppato gli studi cristiani nelle università cinesi, mentre Küng era anche parte del comitato scientifico dell’Istituto di studi sino cristiani di Hong Kong.

Del teologo tedesco, Criveller ricorda il volume Cristianesimo e Religiosità Cinese, che aveva scritto insieme a Julia Ching, una ex suora che aveva subito anche abusi di tipo religioso.

Racconta Criveller: “Ching riporta i frequenti dialoghi, niente affatto di circostanza, con Hans Küng. I due intellettuali erano spesso in disaccordo. Julia, abbandonata la vita religiosa, era una donna ferita, che cercava quasi spasmodicamente di riconciliare le sue tante anime. Sembrava simpatizzare per il buddhismo, e parlava malvolentieri di Dio. Qualche volta temeva di non crederci più. Küng era critico nei confronti del buddhismo perché si concentrava sulla sofferenza e sulle cose negative della vita”.

In questi dialoghi, si trova la fede di Küng. Che le disse: “Preferisco il cristianesimo, una religione della rivelazione. Noi [cristiani] cerchiamo ora di ridurre la sofferenza nel mondo. Crediamo in Cristo, vincitore della morte e della distruzione” .

A ricordare Küng è stato anche il Cardinale Walter Kasper, che ne era stato assistente a Tubinga dal 1961 al 1964. Avevano un rapporto buono, ma poi il Cardinale Kasper si allontanò – racconta all’Osservatore Romano – “quando la Congregazione per la dottrina della fede, nel 1979, gli revocò la missio canonica, cioè, la licenza per insegnare teologia. Questo scatenò una vera crisi nella facoltà, che si divise. Negli ultimi decenni il nostro rapporto è sempre stato nel segno del rispetto reciproco. Ci siamo scambiati regolarmente i saluti e gli auguri in occasione delle festività. Certo, sono rimaste le differenze teologiche, ma a livello umano il rapporto era lineare e pacifico. Specialmente in occasione del suo ottantesimo compleanno, abbiamo avuto uno scambio di lettere molto bello”.

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Sempre il Cardinale Kasper ha sottolineato che Küng “voleva suscitare un rinnovamento nella Chiesa e attuare la sua riforma”, ma poi è andato oltre l’ortodossia cattolica, “quindi non è rimasto legato a una teologia fondata sulla dottrina della Chiesa, ma si è ‘inventato’ una propria teologia”, sentendosi “interpellato come teologo a cambiare le cose nella Chiesa ed è riuscito, effettivamente, a spiegare il Vangelo anche a gente lontana dalla fede”.

Tra le sue eredità, Kasper ha sottolineato che Küng “ha lasciato alla Chiesa anche altre idee di riforma che sono diventate attuali in Germania”, ma ha detto anche di avere “dei dubbi su queste riforme. Io sono su un’altra posizione, perché lui voleva l’ordinazione delle donne e l’abolizione del celibato”. Eppure, mai Küng “ha lasciato la Chiesa e mai ha voluto uscirne fuori”.

E ha raccontato poi: “Nell’estate scorsa, ho telefonato al Pontefice dicendogli che Küng era vicino alla morte e voleva morire in pace con la Chiesa. Papa Francesco mi ha detto di trasmettergli i suoi saluti e le sue benedizioni ‘nella comunità cristiana’. Certamente le differenze teologiche erano rimaste e non sono state risolte. Ormai non si poteva più discuterne. A livello pastorale e umano, però, c’è stata una pacificazione. Lui stesso, dopo il novantesimo compleanno, tre anni fa, ha parlato di una riabilitazione di fatto, non giuridica. Con l’elezione di Papa Francesco c’è stato un certo consenso da parte sua al magistero petrino, ma lo ha interpretato troppo con le idee del suo tempo. Tuttavia, posso assicurare che era avido di riconciliazione. Voleva morire in pace con la Chiesa nonostante tutte le divergenze”.