Il tutto ha portato alla sospensione e successivamente non conferma di sei officiali vaticani. I primi cinque di loro sono stati esposti al pubblico con la pubblicazione di una nota di Gendarmeria che è finita sui giornali. Anche le case di questi officiali sono state perquisite, e ci si chiede se tutto sia avvenuto in accordo con le autorità italiane.
Insomma, sono i giudici dello Stato che hanno preso il comando delle operazioni, stabilendo uno straordinario protagonismo dello Stato di Città del Vaticano. Straordinario, perché non c’era mai stato. Lo Stato serve a sussistere la Santa Sede. E lo Stato è una monarchia assoluta, in cui il Papa decide e stabilisce quello che vuole. Ma la Santa Sede è soggetto internazionale, che firma trattati e convenzioni su diritti umani e giustizia, e che si trova la sua credibilità erosa da questo nuovo protagonismo dei giudici. Quella che è avvenuta è, di fatto, la vaticanizzazione della Santa Sede.
Una vaticanizzazione in salsa italiana, verrebbe da dire, perché il Tribunale vaticano è presieduto da un ex pm italiano in pensione, Giuseppe Pignatone; ha due promotori di Giustizia e un promotore di Giustizia applicato che prestano servizio come avvocati in Italia (Alessandro Diddi; Roberto Zannotti e l’applicato Gianluca Perone). Una vaticanizzazione che sembra tradire un attivismo dei magistrati simile a quello delle procure.
Eppure, in due occasioni i magistrati vaticani si sono trovati a dover ricevere un no dai colleghi di Oltretetvere. La prima, la richiesta di estradizione per Cecilia Marogna, soprannominata la “dama di Becciu”, accusata di aver usato per spese personali denaro ricevuto dalla Segreteria di Stato per consulenze. È stata arrestata, ha fatto due settimane in carcere, quindi la Cassazione ha annullato il provvedimento per via di “un vuoto motivazionale che determina la nullità dell’ordinanza cautelare impugnata, difettando l’esposizione delle specifiche esigenze cautelari di richiesta”.
Quindi, c’è stata la perquisizione della casa di Fabrizio Tirabassi, uno dei cinque officiali vaticani sospesi. Il mandato di perquisizione è stato considerato “nullo”, perché – si legge nella decisione – era un mandato “irrituale”, con “profili di illegittimità evidenti e sostanziale, a cominciare dal fatto che l’ordine di perquisizione sia stato disposto direttamente dalla Procura senza passare al vaglio di un giudice”.
Parole, queste, che mettono in questione lo stesso sistema giuridico vaticano, che ha nel Papa un supremo giudice che può istruire, fare e disfare i processi. Ma ci ha pensato poi un giudice inglese, nelle scorse settimane, a mettere in discussione le indagini stesse. Revocando il provvedimento che aveva congelato i fondi di Gianluigi Torzi, uno degli intermediari, il giudice inglese contestato l’operato dei pm vaticani, sottolineando come la ricostruzione dei fatti era oggetto di mischaracterzation o misinterpretion (errata caratterizzazione o incomprensione).
Ma tutto era iniziato con un altro arresto particolarmente irrituale, quello dello stesso Gianluigi Torzi in Vaticano, dove si era recato per rispondere alle domande della Gendarmeria. E c’era stato anche il caso di Raffaele Mincione, cittadino italiano prelevato in albergo e posto in stato di fermo in Italia.
Se i processi e le indagini sono da fare, colpisce piuttosto la quantità di difetti procedurali che si sono riscontrati, e che hanno portato in tre casi a ribaltare richieste e decisioni.
Da qui, una serie di domande. Una è centrale: può un tribunale vaticano essere composto da giudici part time? Sono esperti, ma di certo non esperti di tutto. Alcuni si occupano di diritto famigliare fuori dallo Stato, e si trovano a fare i giudici di complessi processi finanziari. Fino ad ora, si giustificava il fatto che i giudici fossero part time perché la mole dei processi in Vaticano non era così alta. Ma tutto è cambiato, oggi. La riforma finanziaria ha portato nuove specializzazioni, e ha proiettato il sistema vaticano in un sistema europeo. Possono, allora, giudici part time, chiamati una tantum, essere in grado di guidare indagini complesse come quelle sull’immobile di Londra?
Tra l’altro, non è nemmeno necessario che i giudici siano italiani, perché basterebbe la conoscenza del sistema giuridico vaticano (che non è una copia del sistema italiano, ma viene da un codice giuridico del 1899) ed essere fluenti in italiano. Giudici non provenienti dall’Italia potrebbero internazionalizzare il sistema vaticano.
La strada che si è scelta – e si è visto dalle ultime nomine di Papa Francesco – è quella di mantenere il rapporto con l’Italia.
Altra domanda: questo attivismo giudiziario fa bene alla Santa Sede? La Santa Sede, in effetti, vede la sua credibilità minata da un sistema giudiziario che, in fondo, non comprende le conseguenze istituzionali delle proprie azioni. Le perquisizioni all’AIF e in Segreteria di Stato vaticana sono state al limite irrituali, ma hanno anche suscitato la preoccupazione degli organismi internazionali.
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Egmont Group, il gruppo che mette insieme le Unità di Informazione finanziaria di tutto il mondo, ha sospeso la Santa Sede dal circuito sicuro di rapporti di transazioni sospette, con una decisione presa all’unanimità. La Santa Sede poi è tornata nel circuito sicuro Egmont dopo un protocollo di intesa siglato con il Tribunale Vaticano. Se c’è stato bisogno di un protocollo di intesa, significa che c’era bisogno di garanzie.
Il giusto impegno anticorruzione vaticano mostra così anche limiti, e genera dubbi sul modo in cui viene amministrata la giustizia.
Il caso più recente è stato il processo contro l’ex presidente del Consiglio di Sovrintendenza IOR Caloia, condannato per riciclaggio e altri reati minori. Una sentenza pubblicizzata come “storica”, ma che in realtà non è la prima del genere: prima c’era stato un processo contro Paolo Cipriani e Massimo Tulli, ex direttore e vicedirettore dello IOR, concluso anche questo con una condanna per mala gestione. Una condanna da capire, perché faceva seguito ad una assoluzione nel processo civile in Italia.
I nuovi processi mostrano un rinnovato attivismo del Tribunale Vaticano. MONEYVAL, il comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’aderenza agli standard di trasparenza finanziaria dei Paesi membri, farà il suo rapporto sulla Santa Sede ad aprile, e questo sarà basato sull’efficacia del sistema giuridico. Vale a dire, quanti processi su quante segnalazioni.
Nei precedenti rapporti, il Tribunale Vaticano era stato accusato di scarsa attività, di non dare seguito alle denunce dell’Autorità di Informazione Finanziaria.
Dai rapporti pubblici si sa che nel 2016 è stata creata una sezione speciale contro i crimini economici e finanziari. Da fonti aperte, risulta che, al 2018, in 6 anni sono state 27 le segnalazioni dell'AIF al Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano con “ipotesi di violazione dell’art. 421 bis c.p” la norma antiriciclaggio. Nove sono stati archiviati e per 6 si è chiesta l’archiviazione. Segno che qualcosa si è mosso. Dal 2018 al 2019, come afferma lo stesso Promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, all’inaugurazione dell’anno giudiziario vaticano, c’è stata una significativa opera dell’ AIF con 6 segnalazioni. Di due precedenti segnalazioni si è arrivati all’archiviazione. Nel periodo precedente al 2016 non risultano invece azioni benché la creazione del sistema antiriciclaggio vaticano risalga al 2011.