Carpi , venerdì, 2. aprile, 2021 15:00 (ACI Stampa).
In questa celebrazione della Passione siamo chiamati a contemplare la croce.
La croce agli occhi del mondo appare, e non può essere diversamente, solo come un terribile strumento di tortura e di morte. E’ quanto di più ignobile e disprezzato si possa pensare perché contraddice al desiderio di potenza, di prestigio e di grandezza dell’uomo.
L’Evangelista san Giovanni, al contrario, vede nella croce l’esaltazione di Gesù, il compimento delle sue parole: “ Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. In effetti, nel racconto della Passione che ascolteremo ciò che emerge è la nobiltà di Gesù, la totale libertà con cui si consegna alla morte, la sua dignità regale, la sua vittoria sul male e sulla violenza. Non è un caso che i termini “re” e “regno” ricorrono per ben 15 volte e vengono utilizzati anche da Pilato il quale, credendo di prendersi gioco di Gesù, lo presenta alla folla con in testa una “corona di spine” e avvolto in “un mantello di porpora” (Gv 19.5). In realtà, senza saperlo, con questa “burla” egli rendeva visibile il sorprendente disegno di Dio che, dall’eternità, aveva predestinato il Suo Figlio crocifisso e risorto come re dell’universo.
Il cartiglio, poi, posto sopra la croce con la scritta Questi è il re dei Giudei in lingua ebraica, greca e latina, costituisce una proclamazione della regalità di Cristo davanti al mondo intero. Questa regalità viene ulteriormente sottolineata dal fatto che mentre gli altri evangelisti parlano di due ladroni crocifissi con Gesù, Giovanni si limita a parlare di “altri due in mezzo ai quali fu crocifisso il Signore”. La centralità di Cristo diviene un altro segno di regalità.
Anche nella sepoltura emerge un particolare “regale” quando viene precisato che furono utilizzate cento libbre (circa trenta chili) di mirra e aloe. Una simile quantità di aromi veniva adoperata solo per un re.