Erevan , venerdì, 26. marzo, 2021 11:00 (ACI Stampa).
L’ultima notizia è la scomparsa di una chiesa in Nagorno Karabakh, nel territorio che gli armeni chiamano Artsakh, e che è finito sotto il controllo dell’Azerbaijan dopo l’ultimo conflitto che si è concluso con un accordo doloroso per la stessa Armenia. Ma la preoccupazione generale è quella di una sostanziale riscrittura della storia, che sta andando a cancellare, insieme agli edifici, anche la memoria della presenza armena nel territorio.
Da quando il Nagorno Karabakh è stato dato in gestione all’Azerbaijan, sono state documentate a più riprese le scomparse di chiese e soprattutto di khachkar, le croci armene di pietra che più di tutto raccontano identità e presenza di quella che si fa chiamare “la prima nazione cristiana”. Si è parlato persino di “genocidio culturale” per raccontare questo sradicamento della cultura armena dal territorio – un timore che, con l’ultimo conflitto, si è particolarmente acuito.
L’ultima guerra in Nagorno Karabakh ha portato territori controllati dagli armeni in mano azera, con tanto di monasteri e chiese. In particolare, la BBC è andata a Mekhakavan, a investigare la scomparsa della chiesa di Santa Mariam Astvatsin. Una chiesa che si pensa sia stata completamente distrutta dalle autorità azere, perché ci sono evidenze fotografiche che, alla fine del conflitto, la piccola chiesa fosse ancora lì, sul colle. Ora, come ha documentato la BBC, non ne resta pietra su pietra.
Le stesse autorità, interpellate dai reporter, hanno dato risposte evasive e affermato che controlleranno l’accaduto. Per gli armeni – che pure possono restare nella regione ora passata nella mani degli azeri – è però la prova che la loro storia viene estirpata. E non è una cosa nuova.
In questi giorni è stato pubblicato uno studio di Hratch Tchilingirian, che ha messo in luce come, da quando il Nagorno Karabakh è stato assegnato all’Azerbaijan divenuto una repubblica sovietica, la regione è divenuta soggetto di una “autenticazione della storia” tipica proprio dei sovietici, che creavano narrative nuove per deformare la pubblica percezione riguardo l’altro e il nemico.