Roma , mercoledì, 17. marzo, 2021 13:00 (ACI Stampa).
È stato formalizzato il pacchetto di progetti che vede fianco a fianco la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) e la Commissione Cattolica per la Giustizia e la Pace del Pakistan (CCJP). L’atto riguarda la campagna di protezione delle minorenni e delle giovani donne appartenenti alle minoranze religiose, anzitutto quella cristiana.
Padre Emmanuel (Mani) Yousaf, direttore della CCJP, recentemente aveva affermato che «una delle sfide più evidenti è il recente aumento dei casi di sequestro, matrimonio e conversioni forzati. Questo fenomeno, sebbene non sia nuovo, ha subito un’accelerazione nel recente passato a causa della mancanza di leggi adeguate e dell’assenza dell’applicazione delle misure di sicurezza esistenti allo scopo di proteggere le giovani minorenni e le donne appartenenti alla comunità delle minoranze religiose».
Leggi come il Child Marriage Restraint Act, in vigore nel Sindh dal 2014 con lo scopo di prevenire i matrimoni di ragazze rapite tramite il limite minimo di età fissato a 18 anni, non ha impedito ai tribunali di favorire i sequestratori, com’è accaduto nel caso di Huma Younus, rapita quando aveva solo 14 anni. Basandosi su di una sentenza della Corte Suprema relativa ai matrimoni fra musulmani, i giudici Muhammad Iqbal Kalhoro e Irshad Ali Shah nel febbraio 2020 hanno stabilito che Huma si sarebbe convertita all’Islam e, avendo avuto il primo ciclo, il matrimonio con il presunto rapitore Abdul Jabbar era da considerarsi valido.
L’iniziativa assunta dalla CCJP con il sostegno di ACS prevede l’assistenza legale alle vittime, il confronto con i responsabili politico-istituzionali a vari livelli e una campagna per sensibilizzare la pubblica opinione sul dramma appena descritto.
"Alla CCJP stiamo documentando e monitorando i casi di sequestro, matrimoni e conversioni forzati che si sono verificati ai danni di ragazze minorenni, cristiane e hindu, e ai danni di donne adulte», spiega in un colloquio con ACS il direttore Yousaf. «La pressione dei gruppi estremisti sui tribunali, l’atteggiamento fazioso della polizia, il timore di rappresaglie da parte del rapitore, il conseguente stigma costringono spesso le vittime a fare dichiarazioni a favore dei propri sequestratori", prosegue Padre Mani. "La CCJP ritiene che per avviare e dare efficacia al cambiamento sia necessario impegnarsi a livello nazionale e internazionale per far sentire la propria voce, per domandare che lo Stato compia azioni adeguate» e nel contempo per lanciare «un pubblico appello affinché si legiferi".