Erbil , sabato, 6. marzo, 2021 12:30 (ACI Stampa).
Papa Francesco non la visiterà, non c’è tempo. Ma, in occasione del viaggio, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha destinato 150 borse di studio. Perché è attraverso la cultura che si sta ricostruendo un popolo, un tessuto sociale messo a rischio dall’arrivo di tanti rifugiati. Ed è attraverso la cultura che Erbil, che doveva essere la “Dubai del Kurdistan”, sta cercando di ricostruire una identità ferita, specialmente nei quartieri cattolici. Succede all’Università Cattolica della capitale del Kurdistan iracheno.
È stata voluta fortemente dall’arcivescovo Bashar Matti Warda di Erbil dei Caldei.
Da quando il Califfato è avanzato fino a Mosul, prendendo per un periodo anche la diga, Erbil, capitale del Kurdistan, è diventato il centro di ricovero di quasi tutti i rifugiati della Piana di Ninive.
La situazione era diventata praticamente stabile. Così, oltre agli ospedali – i cattolici lavorano attivamente nei presidi di pronto soccorso – oltre alle case non rifinite date ad affitti molto agevolati e ai vari centri profughi gestiti, la Chiesa di Iraq puntava a dare un segno ancora più forte della sua presenza. Un modo per incoraggiare tutti a rimanere, per fermare l’esodo di molti che, vivendo una condizione medio borghese prima del conflitto, ora si trovano privati di tutto.
La Chiesa caldea ha messo a disposizione i 30 mila metri quadri su cui far sorgere l’ateneo, e la prima pietra era stata posta già prima del conflitto, il 20 ottobre 2012. L’obiettivo era quello di creare un polo universitario moderno.