Il Papa mette in luce che “la coesistenza fraterna ha bisogno del dialogo paziente e sincero, tutelato dalla giustizia e dal rispetto del diritto”, compito che “richiede impegno da parte di tutti per superare rivalità e odio, parlarsi e partire dall’identità più profonda che abbiamo, quella di figli dell’unico Dio Creatore”.
La Santa Sede chiede alle autorità di Iraq di concedere “a tutte le comunità riconoscimento, rispetto e protezione”, sottolinea Papa Francesco. E aggiunge: “Una società che porta l’impronta dell’unità fraterna è una società i cui membri vivono tra loro in solidarietà”.
È la solidarietà, dice il Papa, che porta a compiere “gesti concreti”, perché “dopo una crisi, non basta ricostruire, bisogna farlo bene, in modo che tutti possano avere una vita dignitosa”.
Papa Francesco invita politici e diplomatici a “promuovere questo spirito di solidarietà fraterna”, contrastando “la piaga della corruzione, gli abusi di potere e l’illegalità” e facendo giustizia in modo da far “crescere l’onestà, la trasparenza” e di “rafforzare le istituzioni incaricate di regolamentare le varie esigenze e provvedere all’ordine e alla pubblica sicurezza”, in modo da far “crescere la stabilità” e far sviluppare “una politica sana, capace di offrire a tutti, specialmente ai giovani, la speranza di un avvenire migliore”.
Papa Francesco sottolinea di essere nel paese “come penitente che chiede perdono al Cielo e ai Fratelli per tante distruzioni e crudeltà”, come pellegrino di quella pace che è stata tanto pregata, anche da San Giovanni Paolo II.
Esorta Papa Francesco: “Tacciano le armi! Se ne limiti la distribuzione, qui ed ovunque! Cessino gli interessi di parte! Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare e pregare in pace. Basta violenze, basta estremismi, fazioni, intolleranze!”
Papa Francesco chiede ulteriormente di dare spazio “a chi si impegna per la riconciliazione, per il bene comune, ed è disposto a mettere da parte i propri interessi”. E sottolinea che per formare una società democratica “è indispensabile in tal senso assicurare la partecipazione di tutti i gruppi politici, sociali e religiosi e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini”.
Ma per fare questo c’è bisogno anche dell’impegno della comunità internazionale, e non solo in Iraq, ma in tutto il Medio Oriente, per raggiungere una pace duratura anche nella vicina Siria e nelle varie tensioni regionali. Il Papa riconosce comunque il lavoro delle organizzazioni internazionali, che si stanno adoperando” per la ricostruzione, nonché gli Stati impegnati in Iraq, che auspica “non ritirino dal popolo iracheno la mano tesa dell’amicizia e dell’impegno costruttivo”. Ma, allo stesso tempo, sottolinea il lavoro delle organizzazioni religiose, e in particolare di quelle della Chiesa cattolica.
“Anche in Iraq – afferma Papa Francesco – la Chiesa Cattolica desidera essere amica di tutti, e attraverso il dialogo collaborare, in spirito di rispetto nei riguardi delle altre religioni, per la causa della pace”, perché “l’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti”. E chiede per i cristiani di poter partecipare “alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità”.
Accogliendo il Papa, il presidente Barham Salih ha ricordato che “malgrado le tempeste di violenza, di tirannia e di totalitarismo che hanno travolto il nostro Paese nelle fasi della nostra storia, gli iracheni sono fieri di aver vissuto, per molti secoli, in città ricche di grande varietà di appartenenze, dove vivono vicini in città o quartieri, musulmani, cristiani, ebrei, sabei e yazidi, fratelli gli uni degli altri”.
Il presidente ha ricordato che “le chiese sono nelle immediate vicinanze delle moschee e delle hussainiyat [luoghi di preghiera], e il suono della campana si mescola con la chiamata alla preghiera nel cielo dell’Iraq”.
Salih ha anche sottolineato che “gli iracheni sono fieri egualmente di essere i protettori delle chiese. Dopo l’attacco dei terroristi alla chiesa di Nostra Signora della Salvezza, i giovani musulmani si sono alzati fianco a fianco con i giovani
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cristiani, loro fratelli. Come se il musulmano iracheno, con questo gesto, fosse cosciente che la sua responsabilità patriottica e umanitaria gli imponesse di difendere la chiesa nello stesso modo in cui difenderebbe la sua casa e i suoi luoghi sacri”.
Il presidente, dopo aver parlato dei conflitti e del terrorismo che ha colpito l’Iraq, ha parlato anche del “sale” della terra di Iraq, i cristiani, i quali “sono stati fianco a
fianco con i loro fratelli di tutte le confessioni per affrontare le varie sfide, e il loro contributo storico, di civiltà e di lotta, è stato molto influente e radicato, e si sono fusi nella costruzione delle nostre società e nel dare vita agli autentici costumi, tradizioni e valori orientali”.
Il presidente ha ammesso che “i cristiani d’Oriente negli ultimi periodi hanno subito diverse crisi, che ne hanno ridotto la presenza e li hanno spinti ad emigrare. Indubbiamente, la continua migrazione di cristiani, insieme ad altre
componenti religiose, etniche e nazionali, dai Paesi della regione avrà conseguenze disastrose per i valori di pluralismo e tolleranza, ma anche per la capacità di coesistenza dei popoli della stessa regione. L’Oriente non può essere immaginato senza cristiani”.
Conclude il presidente: “In occasione di questa visita benedetta, mi auguro che venga portata avanti l’iniziativa per istituire la "Casa di Abramo per il dialogo religioso" e che sia istituita la conferenza o il simposio permanente per il dialogo, sotto la supervisione dei delegati del Vaticano, di Najaf, di Al-Azhar, di Zaytuna e dei principali centri religiosi che ricercano la storia comune e multiforme alla luce degli oggetti sacri e del patrimonio cuneiforme”.