Bagdad , martedì, 2. marzo, 2021 9:00 (ACI Stampa).
La comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, attende con gioia Papa Francesco in Iraq. Purtroppo, a causa delle restrizioni Covid, la comunità non sarà presente agli eventi, ma auspica che questo viaggio sia un punto di ripartenza per la terra irachena. Anche per i tanti disabili, accuditi dalla Comunità, che ogni giorno vivono emarginazione e difficoltà. ACI Stampa ne ha parlato con Stefano Fecchi, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII che opera in Iraq.
La comunità fondata da don Oreste Benzi, la Comunità Giovanni XXIII, come opera in Iraq?
Siamo presenti in Iraq dal 2015, in Baghdad, accogliendo l’invito dell’allora Nunzio Apostolico Mons. Lingua. Abbiamo preso in considerazione l’idea di aprire una casa per accogliere ragazzi disabili e poveri con diverse situazioni di disagio. Incontrando le suore di madre Teresa di Calcutta abbiamo iniziato a collaborare con loro, accogliendo in forma diurna, per diversi giorni della settimana, dei ragazzi maschi disabili, loro accolti, la cui età supera i 18 anni. Il progetto è poi quello di accogliere questi ragazzi in modalità residenziale, non appena riusciremo ad ottenere i necessari permessi governativi. Le difficoltà burocratiche e la grande instabilità politica dell’Iraq, non ci hanno ancora permesso di raggiungere questo obiettivo, che però vediamo molto prossimo, in quest’anno.
Come aiutate questi ragazzi?
Con questi ragazzi abbiamo iniziato a fare attività ludiche, attività lavorative domestiche come la pulizia del giardino, cucinare e pulire la casa, ma anche lezioni di Arabo irakeno, che uno di loro ci impartisce, nonostante il suo deficit visivo oltre che psicofisico, per poter dimostrare, come diceva il nostro fondatore don Oreste Benzi, che i disabili non sono oggetto di assistenza, solamente, ma soggetti di umanizzazione. Proprio per questo abbiamo iniziato a far delle passeggiate nella zona in cui viviamo, che hanno suscitato tanto stupore e apprezzamento nei passanti poiché i disabili nella loro cultura sono considerati un po' come era da noi 50/60 anni fa, da non mettere in mostra perché una vergogna, ad addirittura esclamazioni di lode ad Allah, da parte di un venditore ambulante, che diceva che quello che noi facevamo era ciò di cui aveva bisogno il paese e non i continui attentati e omicidi che si susseguivano. Con i ragazzi disabili abbiamo partecipato ad un Evento per la pace tenutosi, prima della pandemia, nei giardini in riva al fiume Tigri, così pure li abbiamo portati ad una festa di matrimonio di una coppia di nostri amici, attivisti sciiti, per dire con don Oreste che il grado di maturità di un popolo si vede da chi tiene il passo degli ultimi, dei più poveri. Per non lasciare indietro gli altri ragazzini della casa delle suore di madre Teresa di Calcutta, abbiamo iniziato ad attivarci anche nella loro casa, con attività di gioco con i più piccoli, e ludico ricreative con i più grandi, per poi arrivare a lezioni di scrittura per le ragazze che purtroppo non possiamo prendere in casa, vista la cultura contraria all’accoglienza eterogenea. A parte ciò teniamo i contatti e l’amicizia con giovani attivisti, impegnati in Ong o associazioni che operano per la Pace, la non violenza e la salvaguardia dell’ambiente, per intessere un dialogo. Oltre chiaramente la frequentazione sia della chiesa locale a cui apparteniamo ( il Rito latino) e alle altre chiese di rito cattolico orientale.