Ad ogni modo, la morte dell’ambasciatore Attanasio e del Carabiniere Iacovacci “hanno acceso una luce sulle pesanti tenebre che gravano sulla regione”, e l’auspicio è che questa luce “aiuti ad illuminare il cammino verso la pace e le sue ragioni, che sono quelle della verità e della giustizia, del progresso e dello sviluppo, ma anche della riconciliazione e del perdono. Ragioni tanto più difficili da comprendere, in un contesto di conflitto, quanto più necessarie ed urgenti per porre fine ad esso in maniera durevole ed effettiva”.
FOCUS MULTILATERALE
L’arcivescovo Gallagher al Consiglio dei Diritti Umani
In un intervento al Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra, inviato via video, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, ha denunciato l’erosione della libertà religiosa a causa delle restrizioni anti-COVID. Non è la prima volta che Gallagher mette in luce questo tema.
A dire il vero, l’intervento del ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati è stato molto più articolato, e ha toccato vari temi di interesse. E non poteva essere altrimenti, data l’eccezionalità della presenza al Consiglio dei Diritti Umani di un officiale vaticano di livello così alto. Tre sono stati i temi dell’intervento: la dignità umana come fondamento dei diritti umani; il rischio di deterioramento dei diritti umani; la autentica promozione dei diritti umani fondamentali alla luce della pandemia.
L’arcivescovo Gallagher ha notato che per più di un anno la pandemia ha ormai colpito ogni aspetto della nostra vita umana, ma che – come comunità globale – abbiamo l’esigenza di “riscoprire le fondamenta dei diritti umani per poter valutare come implementarle in un modo autentico nel contesto attuale.
Rifacendosi alla Dichiarazione dei Diritti Umani e alla Carta delle Nazioni Unite, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato che entrambi i documenti “riconoscono una verità oggettiva, che non deriva dal bisogno di consenso e non è condizionata da tempo, spazio, cultural e contesto”, vale a dire che ciascuna persona umana “è dotata universalmente della stessa dignità”.
È una convinzione che dà vita al vasto sistema delle Nazioni Unite, nonostante oggi il mondo sia fratturato da divisioni e soffra dell’ingiustizia e dello sfregio della guerra e quindi i diritti di cui si parla sono ancora lontani dall’essere “riconosciuti, rispettati, protetti e promossi in ogni situazione”.
La Santa Sede nota che “la vera promozione dei diritti umani fondamentali” dipende da un impegno sincero non solo degli Stati, ma di ciascun individuo sulle basi della sua libertà di coscienza e con la consapevolezza della loro responsabilità morale”, ma ci sono anche rischi che minacciano l’autentica promozione e protezione dei diritti umani fondamentali anche a livello multilaterale”.
Invece, spiega Gallagher, i diritti umani devono essere considerati “un imperativo morale”, mentre ogni sistema che tratta questi diritti in maniera astratta “minaccia la loro stessa ragione di essere”. Anzi questo può portare alcuni a presumere di creare “cosiddetti nuovi diritti” che non hanno fondamenta obiettive – ed è implicito il riferimento ai diritti di terza e quarta generazione, tra cui quelli sul gender e quelli ambientali”.
Gallagher spiega in particolare che “il contenuto al diritto alla vita” nel corso degli anni “è stato progressivamente esteso, accrescendo da una parte protezione contro atti di tortura e scomparse forzate, restringendo l’accettazione e l’applicazione della pena di morte e proteggendo gli anziani, i migranti, i bambini, e la maternità.
Ma questi sviluppi sono “estensioni ragionevoli del diritto alla vita”, c’è un momento in cui il diritto alla vita “viene divorziato dalle sue basi fondamentali”, con il rischio che la protezione dei diritti “finisca per minacciare i valori che invece intendono difendere”. Ed è successo, quando per esempio nei commenti generali del Comitato dei Diritti Umani, il significato di diritto alla vita “è mistificato al punto da implicare il diritto al suicidio assistito e a porre fine alle vite dei bambini non nati”.
L’arcivescovo Gallagher poi fa riferimento alle misure anti-COVID, riconosciute come necessarie, ma che allo stesso temo sono andate a colpire il libero esercizio di numerosi diritti umani. “Un numero di persone che si sono trovate in situazioni di vulnerabilità, come i vecchi, i migranti, i rifugiati, le popolazioni indigene, gli sfollati e i bambini, e sono state colpite in modo sproporzionato dall’attuale crisi”.
La Santa Sede sostiene che “qualunque limitazione sull’esercizio dei diritti umani per la protezione della salute pubblica deve derivare da una situazione di stretta necessità”, e devono comunque essere “proporzionali alla situazione, applicate in maniera non discriminatoria e usate solo quando non ci sono altri mezzi possibili”.
La Santa Sede ribadisce “in particolare, l’urgenza di proteggere il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione”, perché è un diritto fondamentale la cui “protezione, promozione e realizzazione” ha la massima priorità”, in particolare il il credo religioso e l’espressione sono al cuore della completa realizzazione dell’essere umano”.
L’arcivescovo Gallagher afferma che “la vera libertà religiosa richiede che le autorità politiche si impegnino con i leader religiosi, con le organizzazioni religiose e con le organizzazioni della società civile, che sono impegnate a promuovere la libertà religione e coscienza”.
La denuncia di Gallagher è durissima: “La risposta globale alla pandemia da COVID 19 rivela che questa grande comprensione della libertà religiosa viene erosa”. Questo perché “ignorando la dimensione religiosa della persona umana, o, peggio, considerandola non essenziale, questo diritto fondamentale viene gradualmente ridotto ad una forma di libertà personale e privata di pensiero e di opinione, piuttosto che rispettata come parte integrale di ciò che si intendeva essere umano”.
Per questo, la Santa Sede sottolinea che “la libertà di religione protegge anche la sua testimonianza ed espressione pubblica, in maniera individuale e collettiva, in maniera pubblica e privata, nelle forme del culto, dell’osservanza e dell’insegnamento”.
Ma, sfortunatamente – nota ancora Gallagher – le restrizioni da COVID 19 in alcune aree, più che garantire la massima protezione del diritto alla libertà religiosa, hanno applicato “limitazioni ancora più stringenti ai luoghi di culto o all’educazione religiosa”, a differenza di ciò che fanno per molte altre attività e servizi.
Come costume, la Santa Sede non fa accenni specifici, ma è facile pensare, ad esempio, al Belgio, dove la partecipazione alle funzioni religiose è stata limitata a 15 persone, senza considerare la grandezza della Chiesa.
Eppure, ci sarebbero – afferma il “ministro degli Esteri” vaticano – “numerosi esempi di come la libertà di culto possa essere garantita prendendo tutte le precauzioni necessarie per proteggere ragionevolmente la sicurezza pubblica”.
Gallagher sottolinea infine che la pandemia ha, sì, rivelato la “fragilità della nostra natura umana condivisa”, ma anche “la nostra profonda interdipendenza”, e questo è un dato da non sottovalutare nell’approccio che abbiamo verso i diritti umani e il multilateralismo.
Per questo, per “combattere efficacemente le conseguenze delle varie crisi, dobbiamo aver voglia di muoverci oltre quello che ci divide”.
L’arcivescovo Gallagher alla Conferenza sul Disarmo
Di grande importanza è stato anche l’intervento che l’arcivescovo Gallagher ha fatto alla Conferenza sul Disarmo il 24 febbraio. La Santa Sede è sempre stata molto impegnata nelle conferenze sul disarmo, e in particolare in questi ultimi anni è stata tra i principali promotori del Trattato per la Proibizione di Armi Nucleari, votato alle Nazioni Unite anche grazie al voto della Santa Sede (che in genere non vota, perché partecipa come Paese osservatore) e ratificato solo recentemente, anche se poi gli Stati detentori di arsenale nucleare non lo hanno ancora approvato.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Gallagher auspica che la conferenza “supererà gli impasse attraverso un rinnovato sentimento di urgenza e corresponsabilità”.
La Santa Sede ci va già pesante: negli ultimi venti anni, “l’inazione di questa conferenza ha sempre più forzato la comunità globale di cercare soluzioni in altri fori che invece sarebbero dovuti essere offerti da questa conferenza”. Per questo – continua Gallagher – se la conferenza vuole mantenere la sua pertinenza, deve “riconoscere che alcuni temi dovrebbero trascendere i piccoli interessi individuali in virtù del loro contributo per il bene comune”.
La Santa Sede nota che “il presente clima di reciproca sfiducia e l’erosione del multilateralismo impedisce gli afforzi destinati a raggiungere” la nobile aspirazione della pace, e il problema è ancora più grave quando si parla del disarmo, tema di importanza evidente specialmente quando si parla di disarmo nucleare, chimico e biologico.
Eppure, la forte competizione militare, che riguarda anche lo spazio, chiama gli Stati a “una comune responsabilità” di rispettare “i limiti concreti che vanno osservati nell’interesse della nostra comune umanità”.
Non c’è solo il problema del disarmo nucleare. La Santa Sede è anche preoccupata del commercio illecito di piccole armi e di armi esplosive, specialmente quelle che sono diventate sempre meno convenzionali e che ormai sono come piccole armi di distruzione di massa.
È un ciclo – denuncia l’arcivescovo Gallagher –fomentato dal mercato delle armi, con spese militari che “vanno molto oltre ciò di cui c’è bisogno per assicurare la legittima difesa”. Così, queste risorse non possono essere destinate a povertà, ineguaglianza, ingiustizia, educazione e salute. La Santa Sede denuncia come “falsa” la logica che collega la sicurezza nazionale all’accumulazione di armi, e ribadisce che “un modo libero da armi nucleari è allo stesso tempo possibile e necessario”.
Presto ci sarà la conferenza delle parti per revisionare il Trattato di Non Proliferazione di Armi Nucleari, che insieme al Trattato per la Proibizione di Armi Nucleari è ispirato dal “desiderio di pace, sicurezza e stabilità”.
La Santa Sede – spiega Gallagher – non vuole sottovalutare “la complessità del disarmo e del controllo delle armi”, e anzi intende dare tutto il contributo necessario “agli sforzi globali nel costruire un mondo più sicuro e promuovere una cultura di pace”.
Da qui vengono due proposte per la Conferenza del disarmo: l’idea di impegnarsi in uno studio di esperti sulle verifiche, che potrebbe informare le possibili future negoziazioni sul disarmo e il controllo delle armi; e l’incoraggiamento a ripristinare “una discussione formale sulle limitazioni degli armamenti e sul disarmo completo e generale, sotto efficaci sistemi di controllo”.
Per la Santa Sede, il disarmo non può “più essere un obiettivo considerato opzionale”, ma è piuttosto “un imperativo etico”. E per questo “la Santa Sede incoraggia questa conferenza di adottare una rinnovata convinzione di urgenza e impegno per raggiungere accordi concreti e durevoli verso la pace e la fraternità”.
La Santa Sede a Ginevra, la Conferenza Ministeriale dell’UNCTAD
Si è tenuta il 22 febbraio la quindicesima Conferenza Ministeriale dell’UNCTAD, l’agenzia ONU per commercio e sviluppo. Nel suo intervento, pronunciato dall’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore presso le agenzie internazionali a Ginevra, la Santa Sede ha messo in luce la necessità di ripensare il percorso dello sviluppo e “scoprire nuove forme di impegno responsabile, costruito su esperienze positive”. Solo così, la crisi che è stata causa dalla pandemia “diventa una opportunità per discernere come delineare una nuova visione per il futuro”.
La Santa Sede si riferisce anche alla prima bozza del testo finale di questo ministeriale, negoziata già a dicembre, sottolinea che questa può essere “un testo forte per negoziare un consenso successivo”, e mette in luce che è necessario “trasformare il paradigma dello sviluppo”, dato che “enormi disparità nel reddito e nel benessere hanno portato profonde ferite in questo ambiente, con i vincitori e i più forti in grado di usare il loro vantaggio politico per rafforzare le loro posizioni economiche dominanti”.
La Santa Sede denuncia lo “stato di paralisi” in cui è entrato il multilateralismo, e proproi quando “alcune tensioni crescenti sono emerse” sulle questioni del commercio, della valuta e della tecnologia”, mentre si sentono campanelli di allarme anche per multipli stress che colpiscono l’ecosistema globale che mettono a rischio “il nostro futuro ambientale”.
Sono temi che si trovano nella bozza iniziale, in cui si sottolinea che “la tendenza di dimenticare che la vulnerabilità di alcuni diventerà eventualmente la vulnerabilità di tutti”, un trend che crea ansia “a tutti i livelli di sviluppo economico”, ma che è addirittura allarmante per “le nazioni in via di di sviluppo” dove ci sono “svantaggi strutturali e geografici” presenti da lungo termine cui si sono affiancate “nuove vulnerabilità finanziaria e ambientali collegate ad alti livelli di debito esterno e alti flussi di capitale volatile, nonché i crescenti costi degli shock ambientali”.
La Santa Sede ha messo in luce anche le difficoltà che stanno vivendo molte isole ed economie in territori chiusi, e sottolineato l’importanza dell’UNCTAD nell’essere “una delle voci multilaterali più vitali per la comunità di nazioni in via di sviluppo”, con lo scopo di “far funzionare il sistema economico globale per ogni nazione e ogni persona”.
Per questo, il documento che sarà negoziato nei prossimi mesi “dà l’opportunità unica di costruire una risposta effettiva alle conseguenze economiche del COVID 19”.
La Santa Sede a Ginevra, la questione dei brevetti
Il 23 febbraio, la Santa Sede ha partecipato alla riunione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sui TRIPs, vale a dire gli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale. L’impegno della Santa Sede sul tema è di lunga data, e ha avuto alcune proposte innovative sul tema del disarmo, quando la Santa Sede arrivò a proporre di non brevettare le nuove armi sulla base di un articolo dei TRIPs. In questo caso, il tema principale della riunione è, nemmeno si deve dire, la questione della distribuzione dei vaccini.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Jurkovic ha notato come “nelle ultime settimane, alcune nazioni e aziende continuano a dare priorità agli affari bilaterali, alzando i prezzi e cercando di saltare la fila per le vaccinazioni”. Così, da una parte “la maggior parte delle nazioni del mondo sta sperimentando ritardi nei programmi di somministrazione dei vaccini”, dall’altra “in molte nazioni, un gran numero di aziende farmaceutiche, con provata capacità di produrre vaccini sicuri ed efficaci, non possono utilizzare queste strutture anche a causa delle barriere causate dalle proprietà intellettuali”.
La Santa Sede ha messo in luce come la ricerca sia stata finanziata da “differenti risorse”, sia statali che private, e che i vaccini dovrebbero essere comunque considerati bene comune, nonostante le ingenti risorse di ricerca investite, un bene cui tutti dovrebbero avere accesso. Ma – ha denunciato la Santa Sede – “il meccanismo esistente per le licenze obbligatorie dei TRIPs contiene restrizioni territoriali e procedurali che rendono la pratica di emettere brevetti obbligatori per ogni prodotto particolarmente complessa, causando difficoltà per la collaborazione tra le nazioni”.
C’è una flessibilità, nei trattati, ma questa flessibilità lascia poco spazio alle questioni di salute pubblica, e le procedure sono state critiche anche in tempi non di pandemia.
Ha detto l’arcivescovo Jurkovic: “Mentre riconosciamo il valore di proteggere i diritti di proprietà intellettuale, dovremmo focalizzarci sullo scopo di questi diritti e sulle limitazioni e le poetnziali conseguenze negative dell’attuale sistema”.
Per questo, la Santa Sede ha affermato che “la decisione di garantire” la rinuncia di alcune parti della proprietà intellettuale in relazione alla prevenzione, il contenimento o la cura del COVID 19 “sarebbe un forte segnale che dimostrerebbe il reale impegno e coinvolgimento” della comunità internazionale, spostandosi dalle dichiarazioni alle azioni in favore dell’intera famiglia umana.
La Santa Sede a Ginevra, l’impatto del coronavirus sulla fede
Il 24 febbraio, si è tenuto a Ginevra il Sesto Dialogo Annuale Interfede. Tema di quest’anno era “Il Ruolo della Fede durante il coronavirus”.
Prendendo la parola a nome della Santa Sede, l’arcivescovo Jurkovic ha affermato che tutti hanno sperimentato il valore e l’importanza delle proprie fedi nella loro vita, così come tutti hanno subito cambiamenti di vita enormi con l’impatto del coronavirus, mentre centinaia di migliaia di persone hanno perso le loro vite, la crisi economica si fa sentire, l’educazione è stata ridotta in molti posti a un apprendimento virtuale, e le situazioni di povertà sono arrivate a un punto di rottura.
La Santa Sede pone particolare attenzione alle situazioni più vulnerabili, che hanno pagato “il prezzo più alto” della pandemia. E c’è poi da considerare la crisi interiore, causata da misure “necessarie” ma che costringono comunque le persone a rimanere in casa isolate, impossibilitate a interagire fisicamente con famiglia e amici, cosa che ha avuto un profondo impatto psicologico, emozionale e spirituale.
Se l’uomo è un animale sociale, per i cristiani è ancora più importante la socialità – sottolinea l’arcivescovo Jurkovic – perché Dio “desidera la comunione”, e solo “attraverso una mutua e aperta condivisione di noi stessi troveremo vera contentezza e pace”.
La pandemia ha esacerbato le tensioni, ha messo a rischio l’anelito all’unità delle persone. Il portare maschere crea nuove barriere, come hanno un impatto la minaccia di una sofferenza fisica e della morte, la possibilità di perdere un lavoro e l’incertezza per il futuro, che creno “sfiducia e incertezza per il futuro”.
Ma non si può avere un approccio “auto-interessato e miope” in contraddizione con “l’unità e la comunione che davvero porta realizzazione al cuore umano”.
La Santa Sede trova “comprensibili” le reazioni di quanti hanno messo da parte i vaccini, di quelli che insistono sui brevetti, di quanti hanno chiuso le frontiere. Ma sono risposte che “piuttosto che aiutarci a sopravvivere, ci infliggeranno una piaga ancora più profonda del coronavirus.
Cosa possono allora fare le fedi? “La nostra tradizione di fede “ci ancora in una realtà più profonda di noi stessi”, e le nostre tradizioni religiose ci assicurano che “Dio esiste si cura di noi”. Per questo, nonostante “tutte le sfide che stiamo affrontando, la certezza radicata nella fede” della presenza di Dio ci dà la capacità di “sperare e fidarci”.
Papa Francesco – sottolinea l’arcivescovo Jurkovic – è “molto interessato ad assicurarsi che gli effetti del coronavirus non portino a conseguenze ancora più tragiche”, e ha stabilito per questo una Commissione vaticana ad hoc sul coronavirus. Ma il nunzio sottolinea anche il documento sulla Fraternità Umana, che è venuto prima della crisi, ma che già mette in luce l’importanza del dialogo tra le fedi e interculturale per raggiungere la pace”.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Libano, le reazioni alla proposta del Cardinale Rai di una conferenza internazionale
Il Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei maroniti, aveva formulato nei giorni scorsi la proposta di una “Conferenza Internazionale” sponsorizzata dall’ONU per cercare soluzioni alla crisi istituzionale, sociale e politica del Libano. La proposta, lanciata il 7 febbraio, ha suscitato diverse reazioni.
Il 16 febbraio, è stato Hassan Nasrallah, capo del partito di Hezbollah, ha sostenuto che ogni tentativo di istituzionalizzare la crisi del Libano “equivale ad una dichiarazione di guerra”, anche per l’ingresso di forze esterne, sebbene ONU, nel Paese, che ripeterebbe una dinamica che ha già scatenato una guerra civile.
Il 24 febbraio, rappresentanti delle Forze Libanesi (guidate dal cristiano Samir Geagea) e del Partito Socialista Progressista (il cui leader è il druso Walid Jumblatt) sono stati a Bkerké, nella sede del Patriarcato, per discutere con il Cardinale della proposta.
Il Cardinale ha quindi ricevuto il 25 febbraio rappresentanti della Corrente Patriottica Libera, fondata da Michel Aoun, attuale presidente del Libano. Questo partito ha dimostrato sua “non contrarietà” alla proposta del patriarca.
Una delegazione della stessa corrente era stata ricevuta il 24 febbraio dall’arcivescovo Joseph Spiteri, nunzio apostolico in Libano. In quell’occasione, i rappresentanti del partito del presidente hanno presentato un memorandum sul ruolo dei cristiani libanesi nel contesto plurale del Paese e di tutto il Medio Oriente.
Sejaan Azzi, ex ministro del Lavoro, si è peritato di far sapere che una conferenza internazionale come quella auspicata dal Cardinale Rai ha bisogno di “tempi lunghi”.
In generale, tutti i partiti si aspettano un chiarimento, da parte del Patriarca, della sua proposta per una neutralità libanese, di cui ha parlato anche a papa Francesco alla vigilia del Concistoro 2020.
FOCUS EUROPA
Europa, la COMECE si pronuncia per l’equità dei vaccini
Il 23 febbraio, la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) ha lanciato insieme a Caritas Europa un appello affinché l’Unione “stabilisca presto nel dettaglio la sua strategia per il vaccino, e implementi le campagne di vaccinazione di massa non solo per la sicurezza e protezione europea, ma anche per le persone che vivono nelle nazioni più povere”.
La Chiesa Cattolica nell’Unione Europea ha anche sottolineato il ruolo cruciale che dovrebbe giocare l’Unione Europea nell’enfatizzare l’urgenza morale di rendere i vaccini disponibili e a disposizioni di tutti, qualunque siano le loro disponibilità economiche, secondo i principi di solidarietà, giustizia e sociale e inclusività.
In questo momento storico – ha concluso la COMECE – le istituzioni UE sono chiamate a “superare il devastante impatto della crisi in termini di ansietà, emergere di ineguaglianze sociali e l’impoverimento di larghi segmenti della popolazione del mondo”, ma anche a supportare i loro Stati membri a “promuovere l’informazione di massa e le campagne di protezione per superare la disinformazione e la paura della vaccinazione.
Europa, la COMECE applaude una nuova legislazione UE sulle aziende
La legislazione europea che considera aziende e affari accusabili di violazioni dei diritti umani e minaccia ambientale è stata recentemente approvata, e la COMECE h applaudito la proposta.
Le istituzioni della Chiesa cattolica – si legge in un comunicato – supportano le comunità vulnerabili, i cui diritti umani sono spesso violati e i territori danneggiati da attività di affari.
La nuova legislazione UE potrebbe richiedere a tutte le aziende di mappare la loro filiera produttiva, e questo –dice la COMECE – potrebbe contribuire a rimediare i diritti umani negativi e gli effetti ambientali causati attraverso le attività di affari”. FOCUS USA
Stati Uniti, preoccupazione per l’Equality Act di Biden
Una nuova legge voluta dall’amministrazione Biden sta creando scompiglio nella Conferenza Episcopale USA. L’Equality Act andrebbe a sostituire il Civil Rights Act del 1964, e proibirebbe così la discriminazione basata sull’orientamento sessuale o di genere negli spazi pubblici, privati, a scuola, nell’impiego.
Nella lettera, i vescovi notano che l’Equality Act rappresenterebbe “l’imposizione al Congresso di nuovi punti di vista divisivi sul gender su individui e organizzazioni”.
Nel 2019, l’Equality Act fu approvato alla Casa dei Rappresentanti con 236 voti e a favore 173 contro. Anche il presidente Biden ha difeso la legge. I vescovi notano piuttosto che questa lettera potrebbe “infliggere numerose ferite legali e sociali e dolori sociali agli americani, di qualunque fede essi siano (o di nessuna).
FOCUS AFRICA
Ghana, i vescovi contro l’agenda LGBT
La Conferenza Episcopale del Ghana ha chiesto al governo di non cedere alle pressioni di legittimare i diritti LGBT in Ghana.
In una dichiarazione del 19 febbraio scorso, i vescovi ghanesi sottolineano che “secondo la comprensione della Chiesa, i diritti degli omosessuali come persone non includono il diritto di un uomo di sposare un uomo e di una donna di sposare una donna”.
I vescovi hanno sottolineato di condannare “tutti quelli che supportano la pratica dell’omosessualità in Ghana”, e hanno chiesto “all’esecutivo e alla legislatura di “non soccombere mai alla pressione di legalizzare i diritti LGBT in Ghana.