Padova , venerdì, 26. febbraio, 2021 16:00 (ACI Stampa).
Di Mario Pomilio solo qualche settimana fa ricorreva il centenario della nascita, avvenuta a Orsogna, in provincia di Chieti, il 14 gennaio 1921. Una ricorrenza che, purtroppo, non ha avuto la rilevanza che meriterebbe. Occasione per ricordare, anzi celebrare, uno scrittore importante, ma non abbastanza letto e ricordato. Eppure, basterebbero tre soli romanzi per definirne l’importanza.
L’esordio di Pomilio in veste di romanziere risale al 1954 con L’uccello nella cupola, un libro che rende evidente un’inquietudine spirituale maturata anche attraverso la frequentazione di autori quali Georges Bernanos e François Mauriac. Il tema dominante appare subito quello del senso del dolore, soprattutto del dolore innocente.
Ma, allo stesso tempo, da queste pagine emerge il percorso personale dell’autore stesso, intrapreso proprio in questo periodo, come testimonia un altro testo-simbolo, La lettera a una suora. Nel 1953 Pomilio e la moglie si trasferiscono dall’Abruzzo a Roma, si sentono soli, soffrono di solitudine: “Avevamo lasciato quella specie di nido caldo che erano le nostre famiglie e andavamo carichi di nostalgie stentando ad ambientarci”. In gioventù Pomilio era cresciuto in un ambiente cattolico con una certa lontananza e diffidenza. Aveva militato, nel dopoguerra, in partiti di sinistra. La moglie viene colpita da una grave malattia che richiede un intervento chirurgico d’urgenza e in clinica marito e moglie conoscono una suora. “Pronta a sorriderci, a rincuorarci… Ci abituammo presto ad aspettarla. Arrivava lieve e rapida e subito si dedicava amorevole, sollecita, misteriosamente percettiva alle necessità di mia moglie che parlò di lei come di un angelo”. Pomilio è spinto a chiedersi che cosa rendesse quella suora tanto “speciale”, perché il perché di tanta carità, tanta gioia e forza d’animo: che cosa o chi le dona una simile forza, riempie di senso una vita certamente dura, non facile…
Sono i primi passi verso una maturazione interiore e una nuova consapevolezza in quanto scrittore. Quell’incontro apre orizzonti sconosciuti: “Divenne un viaggio d’esplorazione all’interno di me stesso, nel corso del quale mi scoprii impensatamente ricco di mille cose che non sapevo di possedere, di risonanze e di versanti problematici tipicamente religiosi e perfino d’una cultura religiosa che ignoravo d’avere… Il mutamento che ne era derivato aveva avuto la sua prima origine dall’incontro con la suora, che mostrandomi in concreto che cos’è la carità cristiana e quale tesoro di valori essa contiene avevano sconvolto in me la visuale che avevo del cristianesimo… In breve, per opera sua, erano venuti in luce di me, l’io profondo e lo scrittore insieme”.
Nel 1975 Pomilio scrive l’opera in cui si rivelano compiutamente la complessità e la grandezza della sua opera. Si tratta di Il Quinto evangelio, in cui l’autore alterna continuamente i registri della ricerca erudita, della fantasia, dell’invenzione, della riflessione religiosa, che ruotano intorno alla inesausta ricerca dell’«Apocrifo degli Apocrifi ». Per arrivare alla rivelazione che rimanda all’insegnamento originario di Gesù, come viene spiegato in uno dei passaggi-chiave del romanzo: “Ciò che facciamo in parole e in opere è l’evangelio che si sta scrivendo”.