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La proposta di Erdo: “Vedere, avere compassione, insegnare”

Il Cardinale Erdo parla al Sinodo |  | CTV
Il Cardinale Erdo parla al Sinodo | CTV
Il discorso del Card. Erdo |  | CTV
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Dopo il saluto del Papa e la relazione del Cardinale Segretario Generale Baldisseri ha preso la parola il Relatore generale del Sinodo, Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, per la relazione generale.

“Vedere, avere compassione, insegnare”, siano le linee guida del Sinodo, ha esordito il Cardinale citando Papa Francesco.

Gli effetti della globalizzazione sono una delle cause della disgregazione della famiglia. Migrazioni, disoccupazione e altri fenomeni di precarietà portano le persone a non accettare legami e puntare invece a forme di vita individualistica.

Nello stesso tempo esiste un “cambiamento antropologico che corre il rischio di risolversi in un riduzionismo antropologico: la persona alla ricerca della propria libertà, cerca infatti spesso di essere indipendente da ogni legame, a volte anche dalla religione, che costituisce un legame con Dio, dai legami sociali, specialmente da quelli che sono connessi con le forme istituzionali della vita. Da questo quadro di un’alienazione notevole, si spiega la fuga istintiva di molta gente dalle forme istituzionali. Così sembra che si possa spiegare la crescita del numero delle coppie che vivono insieme stabilmente, ma non vogliono contrarre nessun tipo di matrimonio né religioso né civile. Matrimonio e famiglia non sono per individui isolati, ma trasmettono dei valori, offrono una possibilità di sviluppo alla persona umana, che non risulta sostituibile”.

Secondo il Cardinale “oltre la fuga dalle istituzioni si riscontra anche la crescente instabilità istituzionale che si manifesta anche nell’alta percentuale dei divorzi. L’innalzamento dell’età in cui ci si sposa, ossia la paura dei giovani di assumersi delle responsabilità e degli impegni definitivi, come il matrimonio e la famiglia, s’inseriscono in questo contesto. Anzi, se l’obiettivo unico è quello di sentirsi bene sul momento, allora né il passato e né il futuro sembrano importanti, anzi appare una certa paura generale del futuro in quanto forse non ci sentiremo più così bene. Per questo sembra pericolosa anche una scelta definitiva sia professionale che familiare. Così accade che molti non sentono neanche la propria responsabilità, né per i loro simili nel presente e né per il futuro”.

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In questo quadro è necessario ricordare che “lo sguardo di Gesù è quello della misericordia, di quella misericordia che si basa sulla verità. L’insegnamento di Gesù sul matrimonio e la famiglia parte dalla creazione. La vita dell’essere umano e dell’umanità s’inserisce in un grande progetto: quello di Dio creatore. Come in tutti gli aspetti della vita, troviamo la nostra pienezza e la nostra felicità se riusciamo ad inserirci liberamente e consapevolmente in questo grandioso progetto pieno di saggezza ed amore”. 

E’ Gesù stesso a ribadire l’indissolubilità del matrimonio: questo principio “non è innanzitutto da intendere come giogo imposto agli uomini bensì come un dono fatto alle persone unite in matrimonio. Gesù ha assunto una famiglia, ha dato inizio ai segni nella festa nuziale a Cana, ha annunciato il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio. Ma nello stesso tempo ha messo in pratica la dottrina insegnata manifestando così il vero significato della misericordia. Ciò appare chiaramente negli incontri con la samaritana e con l’adultera in cui Gesù, con un atteggiamento di amore verso la persona peccatrice, porta al pentimento e alla conversione, condizione per il perdono”.

Dio ha un progetto su matrimonio e famiglia che “offre una possibilità di pienezza per la vita delle persone interessate anche oggi, malgrado la difficoltà che si riscontra nel mantenere gli impegni per sempre. Il matrimonio e la famiglia esprimono in modo speciale che l’essere umano è creato ad immagine e somiglianza di Dio. La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio. Nel disegno creativo, infatti, è iscritta la complementarietà del carattere unitivo del matrimonio con quello procreativo”.

Dall’insegnamento di Cristo - ha ricordato il Relatore generale - la Chiesa “mette in rilievo l’importanza della promozione della dignità del matrimonio e della famiglia ribadendo il fatto che il matrimonio è una comunità di vita ed amore. Il vero amore infatti non si riduce a qualche elemento del rapporto ma implica la mutua donazione di sé. Così si integrano la dimensione sessuale ed affettiva e l’edificazione quotidiana della vita. Nel disegno del Creatore la coppia umana è già portatrice della benedizione divina. Infatti, nella Genesi leggiamo che: Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi”.

Compito della famiglia cristiana, Chiesa domestica basata sul matrimonio, è essere missionaria. Questa deve “condividere la propria fede donandola anche agli altri. Le famiglie cristiane, infatti, sono chiamate a testimoniare il Vangelo sia con la loro vita vissuta secondo il Vangelo stesso, sia attraverso un annuncio missionario. I coniugi rinforzano mutuamente la loro fede e la trasmettono ai figli, ma anche i figli, con gli altri membri della famiglia, sono chiamati a condividere la loro fede. Nella famiglia si può fare anche l’esperienza di come i coniugi nel loro mutuo amore, rinforzati dallo spirito di Cristo, vivono la loro chiamata alla santità”.

Il matrimonio si fonda sul Battesimo “che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. I nubendi si promettono dono totale, fedeltà ed apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro impegno in Suo nome e di fronte la Chiesa. Nel matrimonio sacramentale Dio consacra l’amore degli sposi e ne conferma l’indissolubilità, offrendo loro l’aiuto per vivere la fedeltà, l’integrazione reciproca e l’apertura alla vita”.

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Attraverso il matrimonio sacramentale “la famiglia cristiana diventa un bene per la Chiesa, ma il suo inserimento nel contesto ecclesiale, risulta anche un bene per la famiglia che viene aiutata a livello spirituale e comunitario anche nelle difficoltà ed aiuta a custodire l’unione matrimoniale ed a discernere circa i rispettivi adempimenti o le eventuali mancanze. L’inserimento organico del matrimonio e della famiglia dei cristiani nella realtà della Chiesa, richiede anche che la comunità ecclesiale presti un’attenzione misericordiosa e realistica ai fedeli che convivono o vivono nel solo matrimonio civile in quanto non si sentono preparati a celebrare il sacramento, viste le difficoltà che una tale scelta può provocare oggi. Se la comunità riesce a dimostrarsi accogliente verso queste persone, nelle varie situazioni della vita, e presentare chiaramente la verità sul matrimonio, essa potrà aiutare questi fedeli ad arrivare ad una decisione per il matrimonio sacramentale”.

Qual è oggi la missione della famiglia, si domanda il Cardinale ungherese. “Risulta molto utile la partecipazione di famiglie cattoliche impegnate alla preparazione dei nubendi. I nuovi sposi possono conoscere una comunità di veri amici e da questi incontri possono nascere rapporti umani di arricchimento, di appoggio ed aiuto anche nelle situazioni difficili o nei problemi della coppia”. In tal senso - aggiunge - “se diciamo francamente agli altri ciò che noi crediamo, non dobbiamo aver paura di non essere compresi, in quanto anche noi siamo figli del nostro tempo. Così anche se non tutti accetteranno l’annuncio sarà comprensibile la proposta”.

Tuttavia “è indispensabile che le famiglie, attraverso il loro aggregarsi, trovino le modalità per interagire con le istituzioni politiche, economiche e culturali, al fine di edificare una società più giusta. La collaborazione con le istituzioni pubbliche è da desiderare per l’interesse della famiglia. Eppure in molti Paesi e presso molte istituzioni il concetto ufficiale di famiglia non coincide con quello cristiano o con il suo senso naturale. Questo modo di pensare influenza la mentalità di non pochi cristiani. Le associazioni familiari ed i movimenti cattolici dovrebbero lavorare in modo congiunto, al fine di far valere le reali istanze della famiglia nella società”. Pertanto “i cristiani devono impegnarsi in modo diretto nel contesto socio-politico, partecipando attivamente ai processi decisionali e portando nel dibattito istituzionale le istanze della dottrina sociale della Chiesa. Tale impegno favorirebbe lo sviluppo di programmi adeguati per aiutare i giovani e le famiglie bisognose, a rischio di isolamento sociale e di esclusione”.

Erdő  ricorda poi quanto sia “delicata ed esigente la missione della Chiesa verso coloro che vivono in situazioni matrimoniali o familiari problematiche. Prima di tutto quelli che potrebbero sposarsi in Chiesa ma si accontentano di un matrimonio civile ovvero di una semplice convivenza. Se il loro atteggiamento proviene dalla mancanza di fede o d’interesse religioso, si tratta di una vera situazione missionaria”. Circa “i separati ed i divorziati non risposati, la comunità della Chiesa può aiutare le persone che vivono dette situazioni nel cammino del perdono e se possibile della riconciliazione, può aiutare l’ascolto dei figli che sono vittime di queste situazioni e può incoraggiare i coniugi rimasti soli dopo un tale fallimento, di perseverare nella fede e nella vita cristiana ed anche di trovare nell’Eucarestia il cibo che li sostenga nel loro stato”.

Sui divorziati risposati civilmente invece “è doveroso un accompagnamento pastorale misericordioso il quale però non lascia dubbi circa la verità dell’indissolubilità del matrimonio insegnata da Gesù Cristo stesso. La misericordia di Dio offre al peccatore il perdono, ma richiede la conversione. Il peccato di cui può trattarsi in questo caso non è soprattutto il comportamento che può aver provocato il divorzio nel primo matrimonio. Riguardo a quel fatto è possibile che nel fallimento le parti non siano state ugualmente colpevoli, anche se molto spesso entrambe sono in una certa misura responsabili. Non è quindi il naufragio del primo matrimonio, ma la convivenza nel secondo rapporto che impedisce l’accesso all’Eucarestia.  Ciò che impedisce alcuni aspetti della piena integrazione non consiste in un divieto arbitrario, ma è un’esigenza intrinseca richiesta in varie situazioni e rapporti, nel contesto della testimonianza ecclesiale. Tutto questo richiede, però, un’approfondita riflessione. L’integrazione dei divorziati risposati nella vita della comunità ecclesiale può realizzarsi in varie forme, diverse dall’ammissione all’Eucarestia”.

Il Relatore Generale precisa inoltre che “alla ricerca di soluzioni pastorali per le difficoltà di certi divorziati risposati civilmente, va tenuta presente che la fedeltà all’indissolubilità del matrimonio non può essere coniugata al riconoscimento pratico della bontà di situazioni concrete che vi sono opposte e quindi inconciliabili. Tra il vero ed il falso, tra il bene ed il male, infatti, non c’è una gradualità, anche se alcune forme di convivenza portano in sé certi aspetti positivi, questo non implica che possono essere presentati come beni. Si distingue però la verità oggettiva del bene morale e la responsabilità soggettiva delle singole persone. Ci può essere differenza tra il disordine, ossia il peccato oggettivo, e il peccato concreto che si realizza in un comportamento determinato che implica anche, ma non soltanto, l’elemento soggettivo”.

Sul fronte dell’omosessualità viene confermato, ovviamente, che “ogni persona va rispettata nella sua dignità indipendentemente dalla sua tendenza sessuale. È auspicabile che i programmi pastorali riservino una specifica attenzione alle famiglie in cui vivono persone con tendenze omosessuali ed a queste stesse persone”. 

La famiglia è volano di apertura alla vita, “esigenza intrinseca dell’amore coniugale. La generazione della vita, quindi, non si riduce ad una variabile della progettazione individuale o di coppia”. La Chiesa ha il dovere di promuovere “la cultura della vita di fronte alla sempre più diffusa cultura di morte. Va riscoperto il messaggio dell’Enciclica Humanae Vitae del beato Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità. L’adozione di bambini, orfani e abbandonati, accolti come propri figli, è una forma specifica di apostolato familiare”.

L’essere umano non è “un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello scarto’ che, addirittura, viene promossa: è compito della famiglia, sostenuta dalla società tutta, accogliere la vita nascente e prendersi cura della sua fase ultima”. Sul fronte dell’aborto la Chiesa “riafferma il carattere inviolabile della vita umana. Offre consulenza alle gestanti, sostiene le ragazze madri, assiste i bambini abbandonati e si fa compagna di coloro che hanno sofferto l’aborto ed hanno preso coscienza del loro sbaglio”. Nello stesso tempo resta fermo il no alla eutanasia: “la morte, nella realtà, non è un fatto privato ed individuale. La persona umana non è e non deve sentirsi isolata nel momento della sofferenza e della morte”.  

 Infine il porporato ricorda che “i genitori sono e rimangono i primi responsabili per l’educazione umana e religiosa dei loro figli. Tutte le crisi che però minacciano o indeboliscono la famiglia impediscono lo svolgimento di detto compito”. Di fronte alla crisi attuale “le famiglie possono ricevere aiuti essenziali dalle altre famiglie, specialmente dalle comunità di famiglie cristiane che sembrano assumere sempre di più certi compiti importanti della Chiesa stessa, costituendo una forma fondamentale dell’apostolato dei laici: esse rappresentano l’elemento comunitario in modo provvidenziale per le singole famiglie e per la stessa Chiesa”.