Roma , martedì, 9. febbraio, 2021 18:00 (ACI Stampa).
Andrea Stefani è un frate cappellano al Policlinico Gemelli di Roma. I suoi occhi e il suo cuore ne vedono tante: malattia, morte, solitudine, vecchiaia. Come reagire a tutto questo? Come riuscire a consolare chi perde una persona cara o accompagnare anche un giovane verso sorella morte? La pandemia ha anche accentuato tutto ed è per questo che frate Andrea, dell'Ordine dei frati minori del Lazio, in questo suo piccolo diario, raccoglie riflessioni spirituali ed esistenziali. "Nel mistero del dolore. Diario di un cappellano al Policlinico Gemelli", questo il titolo del libro che ACI stampa ha approfondito.
"Nel mistero del dolore. Diario di un cappellano al Policlinico Gemelli". Fra' Andrea come è nata l'idea di questo libro/diario?
Durante il periodo di lockdown ho avuto più tempo a disposizione per riflettere e sentirmi in qualche modo impegnato a sostenere tanti amici in un periodo di difficoltà per tutti. Potevo farlo solo raccontando il dono di luce che ogni giorno ricevevo dal mio lavoro in ospedale, non affatto semplice. Ho utilizzato i social network come strumento di evangelizzazione. Scrivevo le mie riflessioni e poi le pubblicavo su Facebook e WhatsApp. Avendo avuto un ritorno positivo, continuai a dire la mia sul vissuto di ogni giorno a partire dal dolore come esperienza comune a tutti noi. Un amico mi invitò a pubblicarle, mi sembrava troppo… però dietro le sue insistenze mi convinsi che forse poteva essere utile anche questo strumento. Non sono né uno scrittore, né uno studioso… ma un “divulgatore”. Così con l’aiuto di esperti scrivemmo bene il testo e proposi l sfida alle Edizioni di Terra Santa. Loro la accettarono e il libro è diventato una realtà.
Essere cappellani di un ospedale importante in un momento così terribile come quello di una pandemia non deve essere affatto facile. Come si consola chi perde un parente, un amico, un marito o una moglie a causa di questo virus? Davvero ci si riesce?
Mi ricorderò sempre la mia difficoltà nell’entrare in Policlinico la prima volta nel 2002… mi sembrava un luogo ostile. La sofferenza, la morte erano un muro da vincere! Credo che tanti abbiano questa difficoltà. Ancora oggi assistiamo all’incapacità di alcuni al solo visitare i propri parenti perché l’ospedale impressiona, perché ci pone delle domande sul senso della vita. Invece mi fu di grande esempio la presenza di 2 ragazzi di 15 e 13 anni che in mezzo ad un fiume di lacrime assistettero insieme alla mamma e alla zia il loro papà mentre se ne stava andando. Lì il posto del cappellano è ancor più indispensabile dello Scienziato perché siamo il “ricordo” di Dio. Vicino alla morte si avverte un grande bisogno di sicurezza. Come il buon ladrone che si rivolse a Dio supplicandolo solo di ricordarsi di lui. Il nostro esserci, senza nemmeno dire una parola, è la certezza che Dio in quel momento si ricorda di te. Quei ragazzi mi chiesero cosa si poteva fare risposi solo pregare perché papà vada in paradiso. Gli parlai un poco del paradiso come luogo dove tutti ci rincontreremo. Recitammo il rosario e terminato, le lacrime si erano asciugate e loro erano un po’ più sereni. Quando il papà morì, la zia mi telefonò perché i ragazzi volevano mettere sul ricordino una frase che avevo detto loro: “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”(R 8,28). La vicinanza è la consolazione che Dio può operare. Questo virus è spietato perché impedisce la vicinanza, ma non può nulla su quella di Dio che comunque sa rendersi presente nel cuore di tanti figli in tanti modi… anche solo attraverso un crocifisso appeso nella parete della stanza, un rosario, un gesto di benedizione dato da dietro dei vetri, il semplice vedere il frate, un’ostia che facciamo sempre arrivare. Dio si ricorda di noi!