Un dono di misericordia, perché, dice il Papa “Dio ci attende senza stancarsi mai. Quando ci allontaniamo ci viene a cercare, quando cadiamo a terra ci rialza, quando ritorniamo a Lui dopo esserci perduti ci aspetta a braccia aperte. Il suo amore non si misura sulla bilancia dei nostri calcoli umani, ma ci infonde sempre il coraggio di ricominciare”.
Anche i consacrati devono esercitare questa pazienza, che “non è la semplice tolleranza delle difficoltà o una sopportazione fatalista delle avversità. La pazienza non è segno di debolezza: è la fortezza d’animo che ci rende capaci di “portare il peso” dei problemi personali e comunitari, ci fa accogliere la diversità dell’altro, ci fa perseverare nel bene anche quando tutto sembra inutile, ci fa restare in cammino anche quando il tedio e l’accidia ci assalgono”.
Tre i luoghi della pazienza per Papa Francesco: la vita personale “Può capitare, nella nostra vita di consacrati, che la speranza si logori a causa delle aspettative deluse. Dobbiamo avere pazienza con noi stessi e attendere fiduciosi i tempi e i modi di Dio: Egli è fedele alle sue promesse”. La tristezza interiore è un verme che mangia da dentro dice il Papa.
C’è poi la vita comunitaria: “il Signore non ci chiama ad essere solisti, ma ad essere parte di un coro, che a volte stona, ma sempre deve provare a cantare insieme”. Non ci si deve lasciar confondere dalle tempeste.
E poi c’è la pazienza nei confronti del mondo. Simeone e Anna “non intonano il lamento per le cose che non vanno, ma con pazienza attendono la luce nell’oscurità della storia, nella oscurità delle propria comunità. Abbiamo bisogno di questa pazienza, per non restare prigionieri della lamentela”. Alcuni dice il Papa sono maestri della lamentela, ma così si perde la speranza semplicemente per impazienza.
Il Papa pone all’assemblea una serie di domande: “accogliamo la pazienza dello Spirito nella nostra vita? Nelle nostre comunità, ci portiamo sulle spalle a vicenda e mostriamo la gioia della vita fraterna? E verso il mondo, portiamo avanti il nostro servizio con pazienza o giudichiamo con asprezza?”
E conclude. “non possiamo restare fermi nella nostalgia del passato o limitarci a ripetere le cose di sempre. Abbiamo bisogno della coraggiosa pazienza di camminare, di esplorare strade nuove, di cercare cosa lo Spirito Santo ci suggerisce” e questo si fa con umiltà.
A celebrare con il Papa all’Altare della Cattedra, nella Basilica Vaticana, il Prefetto, il Segretario, i sacerdoti officiali della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica e i Superiori Generali degli Ordini religiosi.
Il cardinale Braz De Aviz nel suo saluto finale ha ricordato che "Quest’anno la nostra celebrazione eucaristica è spoglia dei segni e dei volti gioiosi che la illuminavano negli anni precedenti, eppure sempre espressione di quella gratitudine feconda che caratterizza le nostre vite. Il distanziamento fisico che la pandemia ci ha imposto non può separarci.
Seguiamo da mesi le notizie che giungono dalle comunità delle diverse nazioni. Esse parlano di smarrimento, di contagi, di morti, di difficoltà umane ed economiche, di paure, di Istituti che diminuiscono di numero... Ma parlano anche di fedeltà provata dalla sofferenza, di coraggio, di testimonianza serena pur nel dolore e nell’incertezza, di condivisione di ogni affanno e di ogni ferita, di cura e vicinanza agli ultimi, di carità e di servizio a costo della vita".
Il Papa ha richiesto poi prima della fine della messa di avere pazienza e ha salutato due religiose una giovne e una anziana. E ha ha ricordato che si deve fuggire dal chiacchiericcio, che distrugge la comunità, e poi non perdere il senso dell'umorismo, saper ridere combatte il chiacchiericcio. Un consiglio umano ha detto il Papa prima della benedizione finale.
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