Lisbona , martedì, 2. febbraio, 2021 14:00 (ACI Stampa).
Legalizzare la morte provocata è “un non senso”, specialmente nel contesto della crisi causata dal COVID 19, perché viene dimostrato che “la lezione che questa pandemia ha dato sul prezioso valore della vita umana”, vita che “la comunità in generale, e in particolare gli operatori sanitari cercano di salvare in modo sovrumano”. Così, in una nota durissima, i vescovi del Portogallo hanno accolto la notizia dell’approvazione della legge dell’eutanasia nel Paese lo scorso 29 gennaio. Una legge fortemente voluta dal governo, tanto che è stata respinta anche la proposta di un referendum popolare per decidere se andare avanti o meno con la legge.
Il Portogallo prosegue così nel piano inclinato che lo porta verso una legislazione sempre più liberale in termini di vita. L’aborto è stato legalizzato nel 2007, nel 2015 il governo di centrodestra era riuscito a cambiare la legge rendendola più restrittiva, mentre già l’anno successivo il nuovo governo di centrosinistra aveva liberalizzato nuovamente la pratica. Ora, la legge sull’eutanasia, portata avanti senza nemmeno considerare altre possibilità. Cosa che ha causato la “tristezza e indignazione” della Conferenza Episcopale Portoghese.
Una tristezza e indignazione – scrivono i vescovi – “aggravate dal fatto che si sta legalizzando una forma di morte provocata nel momento del massimo picco di una pandemia mortale, nella quale tutti noi vogliamo sforzarci di salvare il maggior numero di vite, accettando restrizioni su libertà e sacrifici opportunità economiche senza pari”.
I vescovi sottolineano che la legge dovrebbe essere vagliata e proclamata anticostituzionale per “avere offeso il principio di inviolabilità della vita umana”, e affermano di non poter “accettare che la morte causata sia una risposta alla malattia e alla sofferenza. Accettare che sia questo significa rinunciare a combattere e alleviare la sofferenza e trasmettere l'idea sbagliata che la vita segnata da malattie e sofferenze smette di meritare cure e diventa un peso per se stessi, per coloro che li circondano, per i servizi sanitari, per tutti”.
No, dicono i vescovi, “non possiamo mai smettere di combattere e alleviare la sofferenza, fisica, psicologica o esistenziale, e accettare che la morte causata sia la risposta a queste situazioni. La risposta alla malattia e alla sofferenza dovrebbe essere piuttosto la protezione della vita, soprattutto quando è più fragile con tutti i mezzi e, cioè, l'accesso alle cure palliative, di cui la maggioranza della popolazione portoghese è ancora priva”.