Palermo , martedì, 12. gennaio, 2021 9:00 (ACI Stampa).
Non cercava consensi, riuscendo a mantenere a debita distanza tutto ciò che poteva esporlo alle luci della ribalta. È questo uno dei tratti più sorprendenti di Rosario Livatino, il magistrato siciliano ucciso in un agguato mafioso nel 1990 a cui la Chiesa ha recentemente riconosciuto i requisiti specifici del martirio cristiano.
Don Giuseppe Livatino, postulatore della fase diocesana della causa di beatificazione del giovane Magistrato, rispondendo alle nostre domande ci aiuta a riconoscere in questa figura di santità una luminosa testimonianza di vita cristiana e civile, e soprattutto i tratti caratteristici della coerenza evangelica che nella vita di Livatino fuoriesce limpida come da una sorgente. Del resto, a casa, come nell’aula di un tribunale, per Livatino non faceva alcuna differenza: comprendeva, infatti, che l’esperienza di fede cristiana e la vita non possono non incrociarsi – come lui stesso annotava nelle sue agendine – Sub Tutela Dei, sotto lo sguardo di Dio!
Quale, oggi, la principale urgenza morale posta alla nostra attenzione da Rosario Livatino?
Certamente quella della coerenza, cristiana e civile. Rosario aveva attinto al Vangelo e al Magistero della Chiesa la sua profonda sapienza. Conosce e vive il Vangelo, conosce ed applica le riflessioni dei Padri conciliari sul ruolo del fedele laico nel mondo di oggi. Rosario sa bene, anche grazie alla sua esperienza formativa vissuta nell’Azione Cattolica, che il cristiano è chiamato ad essere “luce del mondo e sale della terra”, che deve santificare, nella famiglia e nel lavoro quotidiano, il mondo. Ma il “magistero” di Rosario non si limita al “fare” quotidiano: la sua è una scelta di vita cristiana radicale, che deve “evitare il male e fare il bene”: evitare il male significa rifiutare con fermezza il peccato: “il peccato è ombra e per giudicare occorre la luce e nessun uomo è luce assoluta”, scriverà nella conferenza su “Fede e diritto” tenuta il 30 aprile 1986 a Canicattì e dirà, nella stessa conferenza: “rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio”.
La coerenza evangelica testimoniata dal Giudice Livatino e la serietà mostrata nel seguirla può interrogare il cristiano di oggi?