Roma , mercoledì, 16. dicembre, 2020 14:00 (ACI Stampa).
“Te piace ‘o Presepio?”: chi di noi non ha in mente la famosa domanda-litania che Luca Cupiello - nell’opera teatrale di Eduardo De Filippo “Natale in casa Cupiello” - rivolge al figlio Nennillo?
Il Presepe e Napoli, due “realtà” difficilmente divisibili. Lo dice la storia del Presepe (o Presepio, si trova anche questo termine nell’Enciclopedia Treccani) che da quello di Greccio - realizzato da San Francesco d’Assisi - ha visto un’evoluzione del tutto particolare.
Ripercorriamo, allora, le tappe più importanti della storia del cosiddetto “presepe napoletano”: due secoli, in particolare, segnano il cammino artistico di questa antichissima tradizione. Sono il Seicento e il Settecento.
Il Seicento vede nascere lo scenario che un po’ tutti abbiamo in mente: la teatralità scenografica, le quinte dei palazzi, i personaggi del popolo animano lo spazio scenico. Tutto questo viene arricchito dalla tendenza a mescolare il sacro con il profano, a rappresentare la quotidianità della città partenopea che animava piazzette, vie e vicoli. Apparvero nel presepe statue di personaggi del popolo come i nani, i mendicanti, i tavernari, gli osti, i ciabattini. Siamo davanti a un’umanità di umili e ultimi della società: le persone tra le quali Gesù nasce. Quello che colpisce di più - in tutto questo pullulare di statuette - è il vestiario, o meglio i costumi che indossano: stoffe, dovizie di particolari, cuciture ben rifinite. Il tutto richiama la moda del ‘600. Particolarmente significativa fu l'aggiunta dei resti di templi greci e romani per sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine del paganesimo, secondo un'iconografia già conosciuta nella pittura dell’epoca.
Ma c’è una particolarità che - forse - non tutti conoscono: ogni statuetta nasconde un ben preciso significato. Troviamo, ad esempio, il trasognante personaggio di Benino o Benito, rappresentazione simbolica dei “pastori dormienti” dell’annuncio. Poi, ecco vicino a lui, comparire il vinaio: espressione del vino e del pane eucaristico. In questo variopinto popolo, c’è anche spazio per il pescatore, ossia il “pescatore di anime”. Compare anche la statuetta di una tale Stefania, giovane vergine che, nato il Redentore, si incammina verso la Natività per adorare Gesù Bambino. Accanto a lei, di contraltare, troviamo il personaggio della meretrice, simbolo erotico per eccellenza, contrapposto alla purezza della Vergine. Una mescolanza, dunque, di segni cristiani e pagani che trovano - forse - la massima espressione del personaggio di Ciccibacco. Nome strano, personaggio alquanto stravagante. E’ alla guida di un carretto trainato da due buoi. Il carretto è carico di botti di vino: è il dio pagano Bacco. Molte volte viene circondato da alcuni zampognari e suonatori di flauto che richiamano - a loro volta - i riti dionisiaci in cui ci si abbandonava all’ebrezza, all’eccesso. Ma cosa vuole dirci questo personaggio? Quale messaggio cristiano vuole insegnarci? Ciccibacco ricordava quanto sia sottile il confine tra sacro e profano, così quello tra il bene e il male.