Mentre si parla molto del problema ambientale, specialmente come “mancanza di risorse e salvaguardia degli equilibri climatici”, è sempre più forte “appiattimento dell’uomo sul puro fare, la tecnicizzazione del suo mondo”.
Ed è questa, dice l’arcivescovo Crepaldi, una questione che impaurisce, perché “la vediamo accompagnata dall’indifferenza a quanto non sia tecnica. Siamo preoccupati sì dalla tecnica, ma soprattutto dal fatto che dietro ad essa non si intraveda nulla, o si intraveda il nulla, ponendosi l’uomo solo domande circa il come”.
Il punto è che “la nudità della tecnica è assolutamente incompatibile con la fede cristiana, e quindi la fede cristiana è indispensabile per vincere la nudità della tecnica”, perché “il nichilismo della tecnica propone all’uomo di essere costruttore di se stesso ma in questo modo ne fa un prodotto. Alla coscienza propone di limitarsi a constatare le pure possibilità di fare che le si presentano davanti in tutta la loro nudità”.
C’è un contraltare a questo rischio tecnocratico, e lo mette in luce Stefano Fontana. Ed è il fatto che la religiosità, eliminata dall’ecologia, si ritrova in molti movimenti ecologisti, dimostrata – spiega Fontana – “dalla convinzione millenaristica e palingenetica dei loro aderenti, dai loro nuovi dogmi e comandamenti a carattere assoluto che indicano nuovi intrinsece mala diversi da quelli della morale tradizionale, dai loro riti liturgici ecologisti”.
Non solo: l’ambientalismo è oggi “ideologico”, anche perché fa proposte “costose ed elitarie” che “confermano la situazione di povertà e dipendenza sociale ed economica”, in quanto “negando lo sviluppo tecnologico, non solo impediscono l’emancipazione sociale, ma fanno anche gli interessi delle aziende – spesso multinazionali e molto agguerrite sul piano del profitto – della green economy e della finanza verde”.
Fontana va anche oltre. Sottolinea che “è in atto un processo globalista che usa le (presunte) minacce delle emergenze ecologiche e sanitarie – dal riscaldamento globale al Covid-19 – come ‘stati di eccezione’ che richiedono sovrane decisioni prese dal potere e compattezza esecutiva. Tali emergenze vengono alimentate artificialmente per giustificare limitazioni alle libertà, obbligati percorsi comportamentali, nuovi criteri per stabilire cosa sia essenziale e cosa no, comportamenti di massa indotti dal potere politico con la giustificazione che è per il bene comune”.
Così, sia il nuovo ambientalismo che l’ideologia sanitaria del coronavirus passano per realtà quando “in realtà sono costruzioni”. In generale “l’utopia/ideologia ambientalista colpevolizza l’uomo, come minaccia alla sostenibilità, fino al punto da promuovere il controllo delle nascite – altro elemento chiaramente gnostico – pianificato e centralizzato”.
Ancora, il problema è la tecnocrazia. Perché anche la tecnicizzazione della procreazione “non ha solo lo scopo di limitare le nascite, ha anche quello di costruirle in senso eugenetico”. Ma questo – denuncia Fontana – non viene colto da una teologia morale cattolica che si cerca di cambiare. Così “le tematiche più proprie dell’ecologia umana, come l’aborto, l’eutanasia, la procreazione artificiale, il matrimonio e il corretto esercizio della sessualità, vengono diluite in una visione allargata del tema della vita fino a comprendere in esso anche la tutela dell’equilibrio degli ecosistemi e la conservazione della biodiversità, da perseguire tutti insieme e globalmente”.
Fontana lo dice a chiare lettere: “C’è un concreto pericolo di una dittatura mondiale motivata dall’emergenza ambientale o sanitaria ma, come sappiamo, l’una e l’altra possono avere una fonte artificiale e rispondere ad un progetto utopico/ideologico”.
Ma da dove nasce l’ecologismo? Lo spiega, nel rapporto, Riccardo Cascioli, che nota come l’idea di fondo dell’ambientalismo è che “l’uomo è chiaramente elemento di disturbo di una natura che – sottinteso – sarebbe in condizioni molto migliori se l’uomo non ci fosse”.
Andando a ritroso nella storia, si trova così nella eugenetica una delle radici del movimento ambientalista, ma non solo. Perché “dalle stesse Società Eugenetiche nascono anche il movimento per il controllo delle nascite e il femminismo radicale”.
Sono tre filoni che procedono paralleli per decenni, “finché negli anni ’60 tendono a convergere nell’azione, fino alla saldatura nel 1970 con la prima Giornata della Terra, partita dagli Stati Uniti. il ciclo di queste grandi conferenze inizia nel 1992 con quella di Rio di Janeiro su ambiente e sviluppo, cui seguiranno Vienna sui diritti umani (1993), Il Cairo su popolazione e sviluppo (1994), Copenhagen sullo sviluppo sociale (1995), Pechino sulla donna (1995), Roma sull’alimentazione (1996) e Istanbul sull’habitat (1996)”.
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Nota Cascioli: “Proprio dalla Conferenza di Rio de Janeiro sull’ambiente (1992) esce un piano d’azione per la tutela dell’ambiente (Agenda 21) che si fonda su due pilastri: il controllo delle nascite nei Paesi poveri, il freno alla crescita economica dei Paesi ricchi”.
Ma la Chiesa ha preso una posizione già un secolo e mezzo fa. Infatti, nel Sillabo del 1864, il Beato Pio IX la prima delle 80 proposizioni alla “Condanna del panteismo, del naturalismo e del razionalismo assoluto”.
Siamo ancora a questo punto o davvero c’è una soluzione cristiana e integralmente umana che possa portarci davvero a prenderci cura della terra senza cedere a false ideologie?
È questa la grande domanda di fondo che resta al termine della lettura del rapporto.