Città del Vaticano , lunedì, 7. dicembre, 2020 9:00 (ACI Stampa).
Venticinque anni dopo l’enciclica Ut Unum Sint di San Giovanni Paolo II, sessanta anni dopo la costituzione di quello che sarebbe diventato il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, i cristiani sembrano aver perso di vista l’obiettivo dell’unità, fino a dare per scontata l’unità. Per questo, il Cardinale Kurt Koch sottolinea che il suo più grande dolore è dovuto al fatto che molti cristiani non soffrono quasi più a causa della divisione tuttora esistente”.
Il Cardinale, che presiede il dicastero vaticano incaricato del dialogo ecumenico, ha espresso questo dolore al termine di una relazione tenuta in un Atto Accademico alla Pontificia Università Angelicum di Roma il 4 dicembre. Il Cardinale Koch ha dedicato la sua relazione alla Ut Unum Sint di San Giovanni Paolo II, delineando anche quanto per il Papa polacco fosse importante, e personalmente importante, arrivare alla piena unità dei cristiani. Ma se il lavoro di San Giovanni Paolo II si poneva a completamento e realizzazione del Concilio Vaticano II, e risentiva ancora degli entusiasmi del rimo movimento ecumenico, oggi sembra che la divisione dei cristiani sia accettata. “Eppure – nota il Cardinale Koch – così come non può esserci vero amore tra le persone senza sofferenza e dolore, così non possiamo raggiungere l’unità dei cristiani senza la consapevolezza dolorosa del trauma delle divisioni della Chiesa”.
Parole che cadono come un macigno in un movimento ecumenico che condivide, ormai, molti documenti bilaterali che godono di un crescente consenso, e vivono anche molti momenti di preghiera insieme secondo quell’ecumenismo spirituale che lo stesso Giovanni Paolo II promuoveva, ma che poi alla fine sembra non arrivare mai ad un accordo totale sul fine ultimo di questo movimento, che è quello di tornare ad una unità reale dei cristiani.
Eppure, le premesse c’erano tutte, nota il Cardinale Koch, sin dal decreto conciliare Unitatis Redintegratio che, in fondo, andava interpretato alla luce della costituzione dogmatica Lumen Gentium, come voleva Paolo VI. Non un invito dunque, né qualcosa che poteva slegarsi dalla dottrina della Chiesa, ma piuttosto parte della missione della Chiesa stessa, “anche perché – spiega il Cardinale Koch – la missione cristiana si rivolge all’umanità intera e in ultima analisi mira all’unità di tutto il genere umano”.
Viene da qui la sottolineatura di San Giovanni Paolo II che “il dialogo ecumenico non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo, esso è sempre uno scambio di doni”.