Il tutto è lasciato comunque al discernimento del vescovo diocesano. Discernimento che si applica anche alla decisione di somministrare sacramenti cattolici ad altri cristiani in “grave necessità”, perché “la condivisione dei sacramenti non può mai avvenire per semplice cortesia” e “la prudenza è d’obbligo per evitare confusione o di dare scandalo ai fedeli.
È forse questo il punto più importante di un vademecum, che, in fondo, serve soprattutto a spiegare ai vescovi cosa fare per adempiere all’impegno ecumenico, che per un vescovo “non è una dimensione opzionale del suo ministero, bensì un dovere e un obbligo”, spiega il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nella prefazione al documento.
Il documento sottolinea che “l’unità dei cristiani riguarda la vita intera”, che il vescovo è chiamato ad essere “principio visibile dell’unità”, e “uomo di dialogo”, ma anche ad avere un ruolo di “guida e di governo nell’orientare le iniziative ecumeniche”, e questo vale in particolare per i vescovi cattolici di rito orientale, che hanno un “compito speciale” dovuto proprio al loro essere ponte tra due realtà.
Il vademecum chiede dunque ai vescovi di nominare un delegato per l’ecumenismo nella diocesi, alla Conferenze Episcopali e ai Sinodo delle Chiese cattoliche orientali di avere una commissione ecumenica che sia anche particolarmente attiva, di stabilire una adeguata formazione ecumenica anche per le persone, perché la dimensione ecumenica deve essere presente “in tutti gli aspetti e le discipline della formazione cristiana”. Il documento raccomanda ai vescovi anche di avere una pagina ecumenica nei siti diocesani.
Quindi, c’è il tema delle relazioni con gli altri cristiani. Il vademecum mette in luce le varie forme di ecumenismo. C’è l’ecumenismo spirituale, che è la preghiera comune con altri cristiani da “cercare”, considerando sempre che “alcune comunità cristiane non praticano la preghiera con altri cristiani, come avveniva un tempo nella Chiesa cattolica”, ma tenendo vive tutte le iniziative, dalla Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani all’analisi comune delle Sacre Scritture.
Non solo. L’ecumenismo spirituale riguarda anche le feste e i tempi liturgici, magari da accompagnare con una dichiarazione, ma anche l’ecumenismo dei santi e dei martiri (e restano impresse iniziative come la traslazione delle reliquie di San Nicola in Russia, di San Filippo a Smirne, di Thomas Becket a Londra), e l’importante ecumenismo che nasce dalla purificazione della memoria.
Si tratta, questo, di un ecumenismo fondamentale, soprattutto per quei Paesi in cui le Chiese Cattoliche Orientali sono state forzatamente assorbite ad altre chiese cristiane come quelle ortodosse, e sono state marginalizzate o persino costrette alla diaspora – è successo moltissimo nell’Est dell’Europa durante la dominazione sovietica.
Altra forma di dialogo è quello della carità, che nasce dal fare il primo passo per incontrare responsabili di altre Chiese, mentre il dialogo della verità riguarda appunto il dialogo teologico, sfociato in moltissimi documenti bilaterali con altre confessioni cristiane, che però lasciano aperta la sfida della ricezione di questi documenti.
“Mentre i dialoghi bilaterali e multilaterali hanno prodotto nel corso degli anni molti accordi e dichiarazioni comuni – si legge nel vademecum – questi non sempre sono entrati nella vita delle comunità cristiane”.
Infine, il dialogo della vita, che significa “un’azione comune nella cura pastorale, nel servizio al mondo e in ambito culturale”, e che poi va a toccare l’ecumenismo pastorale. Già detto dell’intercomunione, resta il tema dei matrimoni misti, da non considerare come “un problema, perché sovente sono un luogo privilegiato di edificazione dell’unità dei cristiani”.
Il documento parla anche dell’ecumenismo pratico (l’azione coordinata delle organizzazioni cristiane in ambito di assistenza, per esempio per poveri, rifugiati, sfollati, moderni schiavi), e l’ecumenismo culturale, espressione che “include tutti gli sforzi volti ad una migliore comprensione della cultura degli altri cristiani”.
Sono i modi per affrontare “la grande sfida” data “dalla lunga storia delle divisioni dei cristiani e la natura complessa dei fattori teologici e culturali che separano le comunità cristiane”.
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Presentando il documento, il Cardinale Koch ha messo in luce che “il processo di preparazione del vademecum” è durato tre anni, e che auspica che questo vademecum sia “un aiuto al cammino dei vescovi”.
Il Cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione dei Vescovi, ha ricordato il ruolo dei vescovi, ma ha anche voluto sottolineare “che l’ecumenismo è prima di tutto una impresa spirituale e una invocazione allo Spirito Santo perché la grazia di Dio sia ristabilita tra i discepoli di Cristo”.
Il Cardinale Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha affrontato alcuni problemi che si vivono in territori di missione dove “i non cristiani sono confusi” quando vedono che i cristiani battezzati mancano di unità “a volte manifestata con animosità”.
Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha notato che il vademecum ci ricorda che non si può più ignorare “l’Oriente cristiano”, conoscenza indispensabile “per dare una più completa risposta cristiana alle attese degli uomini e delle donne del nostro tempo”.
Stimolato da una domanda sul dialogo con gli anglicani e sull’accettazione dell’ordine sacerdotale degli anglicani, il Cardinale Kurt Koch ha sottolineato che sul tema c’è lavoro da fare, anche perché la Comunione Anglicana ha recentemente accettato di ordinare donne vescovo, e questo non può essere accetato dalla Chiesa catotlica e che crea anche problemi nella condivisione dell’altare. E il cardinale Ouellet ha rimarcato che c’è “una lunga strada avanti a noi”.
Ma fino a che punto il vademecum è una risposta ad iniziative di Paesi come la Svizzera, la Scandinavia, o anche la Germania, che ora sta vivendo un percorso sinodale? Il Cardinale Koch spiega che non ci sono influenze, perché il dicastero si occupa di un dialogo a livello universale, mentre non si occupa del dialogo a livello regionale, demandato ai vescovi. E spiega: “Quando pensiamo alla dichiarazione sulla Giustificazione firmata nel 1999, questa non sarebbe stato possibile se non ci fosse stata grande preparazione a livello locale”.