Il Cardinale ha poi denunciato il ritardo nella legge per la restituzione delle proprietà della Chiesa, “rimasta in un cassetto” mentre i beni vengono venduti, nonostante il Consiglio Interreligioso abbia “adottato la posizione che la proprietà può essere restituita in condizioni reali, se non può essere restituita, può essere cambiata, e se non può essere cambiata può essere valutata e pagata a rate. Il governo non ha adottato né la seconda né la terza opzione, purtroppo”.
Padre Franjo Topic, teologo molto conosciuto in Bosnia, a volte proposto anche per incarichi politici (che ha sempre declinato) ha delineato in un recente articolo “due opzioni per migliorare l’assetto attuale”.
“La prima – ha scritto - è organizzare una nuova Dayton, anche se sappiamo che non è facile, perché chi ha ottenuto vantaggi importanti non vi rinuncerà tanto facilmente. Come se poi anche la prima Dayton fosse stata facile! Va aggiunto che l’architetto degli Accordi di Dayton, il diplomatico statunitense Richard Hoolbrooke, ha scritto che questo trattato serviva a fermare una guerra che durava da più di un quadriennio e che una Dayton 2 dovrebbe regolare un funzionamento buono, equo ed economicamente sostenibile del Paese”.
Quindi, c’è la seconda opzione, ovvero che “l’Unione Europea accetti la Bosnia Erzegovina così com’è sotto la sua ala protettiva ed in seguito si modifichino e armonizzino le sue leggi con quelle europee. Ci sono state eccezioni, come nel caso della Romania e della Bulgaria, che sono state ammesse nell’Unione Europea senza soddisfare tutte le condizioni. Ma quando giochi una partita, devi seguire le regole. E il punto è che tutte le precedenti riforme costituzionali e legali - nelle quali sono pur stati investiti molti sforzi, denaro e nervi - sono state più di rilevanza ‘cosmetica’ che reali”.
Questo aiuterebbe, secondo Topic, a “riformare lo Stato dalle sue fondamenta e a riorganizzare il Paese a misura non solo dei suoi tre popoli, ma dei cittadini”, anche perché “ci sono stati due tentativi per realizzare importanti riforme costituzionali, ma sono falliti”.
I vescovi hanno dunque stilato un documento per i 25 anni dell’accordo di Dayton, definito un “invito ai firmatari e testimoni dell’accordo e a tutti coloro che sono responsabili della sua attuazione”.
I vescovi denunciano che l’accordo fermò sì la guerra, ma “non creò una pace stabile giusta”, perché non ha delineato “uguaglianza tra membri di tre popoli e minoranze nazionali”, non ha “garantito un ritorno sostenibile a molti rifugiati e sfollati”, e nemmeno “il risarcimento per le proprietà distrutte e saccheggiate a numerosi cittadini e comunità religiose del Paese”.
Piuttosto, ha tenuto vivo il conflitto, sebbene “con altri mezzi”, e per questo i vescovi ricordano il loro impegno per il bene comune, e anche che già nel 1995, alla firma dell’accordo, avevano espresso i loro dubbi che l’accordo di pace “introduce nuovi disordini e dubbi riguardo al ritorno e alla protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che includono i diritti religiosi ed etnici e le libertà di tutti gli abitanti della Bosnia-Erzegovina”.
Dopo 25 anni, i vescovi affermano “con dolore e giustificata indignazione che questo Accordo, purtroppo, negli ultimi anni, è stato usato più come giustificazione e alibi per preservare e legittimare varie ingiustizie passate e nuove, e molto meno per costruire vere, pace duratura, basata sulla giustizia e sulla parità di diritti per tutti”.
Un problema nato anche dal fatto che i funzionari incaricati dell’attuazione dell’accordo non hanno avuto assistenza politica, mentre “quasi l’intera popolazione cattolica in una metà del Paese (la Repubblica Serba) è stata sradicata e nell’altra metà (la Federazione della Bosnia Erzegovina) è in continuo declino “principalmente a causa della partenza di giovani e intere famiglie - principalmente a causa di criminalità, corruzione, egoismo politico. nel paese e scarsa valutazione del lavoro professionale”.
Per questo i vescovi hanno chiesto di “lavorare su un'organizzazione interna del paese giusta e mirata. Questa disposizione dovrebbe essere adattata a tutti e tre i suoi popoli costituenti, alle minoranze nazionali e a ciascuno dei suoi cittadini, e in particolare a coloro che sono i più deboli nel periodo bellico e postbellico. Questa disposizione deve essere accompagnata dall'emanazione di leggi giuste che assicurino il rispetto reale di tutti i diritti individuali e collettivi, senza possibilità di dominio del più forte o più numeroso, e consentano la correzione di tutti i vecchi e la prevenzione di nuove ingiustizie”.
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