Mosul , giovedì, 19. novembre, 2020 9:00 (ACI Stampa).
Sono circa 200 le famiglie di sfollati cristiani che sono già tornate o torneranno a Mosul, da dove erano fuggite a causa delle tremenda avanzata del sedicente Stato Islamico. La notizia, data l’11 novembre da Zuhair Muhsin al Araji, sindaco di Mosul, è stata poi confermata dal governatore nel distretto.
Mosul è stata roccaforte dei Daesh quando questi si sono impadroniti della piana di Ninive, costringendo i cristiani a rimanere con il rischio di violenze e discriminazioni o alla fuga verso Nord. Mosul, città multiculturale per eccellenza, con una presenza cristiana che risale all’inizio della cristianità e una attività domenicana sin dalle origini della congregazione, era stata un obiettivo fondamentale sia per il suo ruolo di capitale della regione, sia per la presenza di un ramo della banca centrale dove si trovavano diverse centinaia di milioni. Era il 2014, e l’occupazione dei Daesh è durata fino al 2017, mentre in molti hanno trovato rifugio ad Erbil, nel Kurdistan iracheno.
Con la liberazione della Piana di Ninive, è cominciato il processo di ricostruzione. Non si tratta solo di una ricostruzione di edifici, ma soprattutto della ricostruzione della fiducia e del tessuto multiculturale. C’è, soprattutto, bisogno del ritorno dei cristiani, in quella che per un periodo è stata una diocesi che non esisteva più.
Le famiglie sono tornate dai governatorati della regione del Kurdistan iracheno, dove si erano rifugiate, potendo prendere alloggio nella parte destra della Città Vecchia, ora rimessa in sicurezza. Per ora, stanno arrivando le prime 90 famiglie, ma un altro gruppo arriverà in futuro.
Si tratta di un ulteriore passo avanti, in un piano che punta a restituire all’area di Mosul l’antico tessuto, ma soprattutto a ripopolare un territorio di cui i cristiani sono parte fondante. Già prima dell’arrivo dell’ISIS, a seguito della Seconda Guerra del Golfo, molti cristiani avevano lasciato l’Iraq, in una sorta di esodo nascosto che i vescovi del Medio Oriente non avevano mancato di segnalare nel Sinodo Speciale sulla loro regione convocato da Benedetto XVI nel 2011 – una denuncia che fini poi nell’esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente.