Papa Francesco sottolinea che la parabola ha un inizio, un centro e una fine.
L’inizio è il grande bene, rappresentato dai talenti, perché “è stato calcolato che un solo talento corrispondeva al salario di circa venti anni di lavoro: era un bene sovrabbondante, che allora bastava per tutta la vita”. E questo bene è, spiega Papa Francesco, la “grazia di Dio”, una “grande ricchezza” che “non dipende da quante cose abbiamo, ma da quello che siamo”, eppure spesso, guardando la nostra vita, “vediamo solo quello che ci manca” e “cediamo all’illusione del magari”, che “ci impedisce di vedere il bene e ci fa dimenticare i talenti che abbiamo”.
Eppure – sottolinea Papa Francesco – Dio ci ha affidato i talenti perché “si fida di noi, nonostante le nostre fragilità”, anche se siamo come il servo che nasconderà il talento.
Il centro della parabola è, per Papa Francesco, il servizio, che “fa fruttare i talenti e dà senso alla vita”. E i servi bravi sono “quelli che rischiano”, quelli che “non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano”, perché “il bene, se non si investe, si perde”. "Non serve per vivere chi non vive per servire", dice Papa Francesco, chiedendo di meditare la frase. E poi si sofferma sulla qualità del servizio.
"Se abbiamo doni, è perché siamo doni agli altri", dice Papa Francesco. E poi invita tutti a domandarsi se seguono i bisogni o se sanno riconoscere i bisogni dell'altro".
Papa Francesco sottolinea che i servi che rischiano sono chiamati nel Vangelo “per quattro volte sono chiamati fedeli”, perché per il Vangelo “non c’è fedeltà senza rischio” ed “essere fedeli a Dio è spendere la vita, è lasciarsi coinvolgere i piani dal servizio”.
Il Papa dice che “è triste quando un cristiano gioca sulla difensiva, attaccandosi solo all’osservanza delle regole ed al rispetto dei comandamenti”, quei "cristiani misurati, che mai fanno un passo fuori, perché hanno paura del rischio", che "incominciano un processo di mummificazione dell'anima, e finiscono mummie".
Questo “non basta”, la fedeltà a Gesù "non è solo non commettere errori. È negativo questo". Il servo della parabola è definito “malvagio” perché “non ha fatto nulla di male”, ma allo stesso tempo “non ha fatto niente di bene”, non è stato “fedele a Dio, che ama spendersi”, anzi “gli ha fatto l’offesa peggiore: restituire i doni ricevuti”.
Il Papa invita a "non spreacare la vita pensando solo da noi stessi", a "non lasciarci condannare dall'indifferenza". Per servire secondo i desideri di Dio, si è chiamati ad “affidare il denaro ai banchieri” per prendere gli interessi, e Papa Francesco interpreta la parabola con “i poveri”, che “ci garantiscono una rendita eterna e già ora ci permettono di arricchirci nell’amore”, perché “la più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore”.
Aggiunge Papa Francesco: "Si avvicina Natale e pensiamo tutti a cosa possiamo comprare. Usiamo un altro verbo: cosa possiamo dare, per essere come Gesù che ha dato tutto se stesso".
Si arriva così al finale, che è la fine della vita, il momento in cui “tramonterà la finzione del mondo, secondo cui il successo, il potere e il denaro danno senso all’esistenza, mentre l’amore, quello che abbiamo donato, emergerà come la vera ricchezza”. Per questo, Papa Francesco invita “se non vogliamo vivere poveramente” di “chiedere la grazia di vedere Gesù nei poveri, di servire Gesù nei poveri”.
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Ed è qui che il Papa rivolge un pensiero a don Malgesini, la cui storia deve avere molto colpito il Papa: non solo lo ha ricordato nell’udienza generale del 16 settembre, subito dopo l’omicidio, ma ha anche inviato il suo elemosiniere, il Cardinale Konrad Krajewski, a celebrarne i funerali e ne ha incontrato i genitori lo scorso 14 ottobre.
Papa Francesco sottolinea che l’inizio della giornata di don Malgesini “era la preghiera, per accogliere il dono di Dio; il centro della giornata la carità, per far fruttare l’amore ricevuto; il finale, una limpida testimonianza del Vangelo”. E questo perché “aveva compreso che doveva tendere la sua mano ai tanti poveri che quotidianamente incontrava, perché in ognuno di loro vedeva Gesù. Chiediamo la grazia di non essere cristiani a parole, ma nei fatti. Per portare frutto, come desidera Gesù”.