Padova , venerdì, 30. ottobre, 2020 18:00 (ACI Stampa).
La leggenda vuole che in un non meglio precisato anno del V secolo dopo Cristo il primo gruppo di veneti scappati dalla furia devastatrice dei barbari sia giunto fortunosamente in un isolotto della laguna per rifugiarsi e cominciare una nuova vita.
Il luogo è considerato deserto, solo un lembo di terra bassa tra le acque immobili, tra secche e canneti. Ma si trovano davanti un uomo di mezza età, che pesca tranquillamente, alle spalle di una piccola casa di legno, da dove escono una donna e una ragazza. Si tratta di Grigor, di sua moglie e di sua figlia, che salutano i nuovi arrivati con la tipica espressione augurale armena: "Che crescano le rose dove voi passate". Grigor tira fuori un sacco con diverse mercanzie: cannella, pepe, babbucce, perle e si dichiara pronto a venderle ai futuri, primi veneziani. Una leggenda, certo, ma che rende a fondo il concetto che la presenza degli armeni si lega così profondamente alle radici stesse della Serenissima. E di questa presenza è costellata Venezia, la sua laguna e molti altri luoghi del Veneto.
Il percorso straordinario alla ricerca di queste tracce è stato raccontato in un libro che, in qualche modo, rappresenta un “classico” del suo genere: parliamo di "La Venezia degli armeni", scritto a quattro mani da Aleramo Hermet e da Paola Cogni Ratti di Desio, pubblicato dalla casa editrice Mursia nel 1993, ristampato più volte, anche recentemente, e sembra che la casa editrice sia intenzionata a presentarne a breve una ulteriore ristampa.
Un percorso insolito, che conserva intatto il suo fascino e la sua attrazione, attraverso sedici secoli di storia, leggende e miti, tra campi, campielli, isole, acque cangianti del mare Adriatico, ricco di sorprese e di incontri. Emergono personaggi ed eventi che ci parlano ancora oggi con un linguaggio quasi fiabesco, anche se si tratta di eventi e personaggi storici: Caterina Cornaro, l’ultima regina di Armenia, la battaglia di Lepanto, l’isola di San Lazzaro che accoglie il monaco Mechitar e diventa la “piccola patria” per la diaspora armena, simbolo della rinascita delle radici dell’antichissima cultura armena, nonché rifugio amatissimo da Lord Byron in persona, le botteghe e gli empori, il collegio Moorat- Raphael…Una sequenza ininterrotta di vicende e protagonisti che ha legato così strettamente i destini del popolo errante e della magnifica repubblica fondata sotto il segno del leone di San Marco. E a proposito di san Marco, è interessante sapere che proprio nella piazza, quasi all’altezza degli ultimi tavolini all’aperto del famoso Caffè Florian, si trova una lapide di marmo bianco incastonata nel pavimento a ricordo del tempio dei santi Geminiano e Mena. Il primo nucleo della chiesa, voluta da Narsete nel VI secolo, ma demolita nel per fare spazio al rimodernamento di piazza San Marco. In origine la piazza aveva un aspetto ben diverso da quello che oggi possiamo ammirare: si trattava di un prato, in parte coltivato ad orto dalle monache di San Zaccaria, per concessione del doge Giovanni Partecipazio I nell'829.
Era diviso da un canale detto Batario, sulle cui sponde sorgevano, una di fronte all'altra, le due piccole chiese di San Teodoro (il primo patrono della città) e San Geminiano. La leggenda vuole che fosse stato proprio il generale bizantino Narsete, di origine armena, a farle costruire per celebrare la sua vittoria sui Goti, vinta con l'aiuto delle navi veneziane. E sarebbe stato proprio il generale a diffondere a Venezia il culto per san Teodoro.