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Letture, una Venezia che accoglie gli armeni in fuga raccontata come un romanzo

Un romanzo classico che torna di attualità oggi con la guerra in Nagorno Karabak

Un dettaglio della copertina del libro  |  | Mursia Un dettaglio della copertina del libro | | Mursia

La leggenda vuole che in un non meglio precisato anno del V secolo dopo Cristo il primo gruppo di veneti scappati dalla furia devastatrice dei barbari sia giunto fortunosamente in un isolotto della laguna per rifugiarsi e cominciare una nuova vita.

Il luogo è considerato deserto, solo un lembo di terra bassa tra le acque immobili, tra secche e canneti. Ma si trovano davanti un uomo  di mezza età, che pesca tranquillamente, alle spalle di una piccola casa di legno, da dove escono una donna e una ragazza. Si tratta di Grigor, di sua moglie e di sua figlia, che salutano i nuovi arrivati con la tipica espressione augurale armena: "Che crescano le rose dove voi passate". Grigor tira fuori un sacco con diverse mercanzie: cannella, pepe, babbucce, perle e si dichiara pronto a venderle ai futuri, primi veneziani. Una leggenda, certo, ma che rende a fondo il concetto che la presenza degli armeni si lega così profondamente alle radici stesse  della Serenissima. E di questa presenza è costellata Venezia, la sua laguna e molti altri luoghi del Veneto.

Il percorso straordinario alla ricerca di queste tracce è stato raccontato in un libro che, in qualche modo, rappresenta un “classico” del suo genere: parliamo di "La Venezia degli armeni", scritto a quattro mani da Aleramo Hermet e da Paola Cogni Ratti di Desio, pubblicato dalla casa editrice Mursia nel 1993, ristampato più volte, anche recentemente, e sembra che la casa editrice sia intenzionata a presentarne a breve una ulteriore ristampa.

Un percorso insolito, che conserva intatto il suo fascino e la sua attrazione, attraverso sedici secoli di storia, leggende e miti, tra campi, campielli, isole, acque cangianti del mare Adriatico, ricco di sorprese e di incontri. Emergono personaggi ed eventi che ci parlano ancora oggi con un linguaggio quasi fiabesco, anche se si tratta di eventi e personaggi storici: Caterina Cornaro, l’ultima regina di Armenia, la battaglia di Lepanto, l’isola di San Lazzaro che accoglie il monaco  Mechitar e diventa la “piccola patria” per la diaspora armena, simbolo della rinascita delle radici dell’antichissima cultura armena, nonché rifugio amatissimo da Lord Byron in persona,  le botteghe e gli empori, il collegio Moorat- Raphael…Una sequenza ininterrotta di vicende e protagonisti che ha legato così strettamente i destini del popolo errante e della magnifica repubblica fondata sotto il segno del leone di San Marco. E a proposito di san Marco, è interessante sapere che proprio nella piazza, quasi all’altezza degli ultimi tavolini all’aperto del famoso Caffè Florian, si trova una lapide di marmo bianco incastonata nel pavimento a ricordo del tempio dei santi Geminiano e  Mena. Il primo nucleo della chiesa, voluta da Narsete  nel VI secolo, ma demolita nel per fare spazio al rimodernamento di piazza San Marco. In origine la piazza aveva un aspetto ben diverso da quello che oggi possiamo ammirare: si  trattava di un prato, in parte coltivato ad orto dalle monache di San Zaccaria, per concessione del doge Giovanni Partecipazio I nell'829.

Era diviso da un canale detto Batario, sulle cui sponde sorgevano, una di fronte all'altra, le due piccole chiese di San Teodoro (il primo patrono della città) e San Geminiano. La leggenda vuole che fosse stato proprio  il generale bizantino Narsete, di origine armena, a farle costruire per celebrare la sua vittoria sui Goti, vinta con l'aiuto delle navi veneziane. E sarebbe stato proprio il generale a diffondere a Venezia il culto per san Teodoro.

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Tra i fantasmi palpitanti che si possono ancora inseguire  nelle labirintiche calli veneziane uno dei più vividi e fascinosi è quello di Caterina Cornaro. Figlia del ricco ed influente patrizio veneziano Marco e di Fiorenza Crispo, nasce a Venezia il 25 novembre 1454 e muore nella sua città  il 10 luglio 1510. A 14 anni viene sposata per procura a Giacomo II Lusignano, re di Cipro e d’Armenia.

Quello con Caterina Corner è ovviamente  un matrimonio politico di convenienza che aiuta  alla Repubblica di Venezia per consolidare il proprio dominio nel Mediterraneo Orientale. Caterina è troppo giovane per opporsi e in fondo quell’idea di diventare regina la fa vivere come in una favola. Nel 1472 Caterina lascia Venezia per Famagosta, la capitale dell’isola, dove sposa ufficialmente Giacomo II e viene  incoronata regina di Cipro, e non solo, perché grazie ai vari incastri dinastici diventa regina anche di Gerusalemme e d’Armenia.

Il bel sogno dura neppure un anno e si ritrova vedova e perde anche il figlioletto appena nato. La giovane veneziana resiste e continua a regnare da sola per circa 14 anni, ma alla fine viene  costretta all’abdicazione e a cedere il regno alla Repubblica di Venezia. Fa ritorno in patria nel giugno del 1489. Venezia  riserva  un’accoglienza memorabile alla Regina di Cipro e di Armenia, quella terra lontana che lei  non ha fatto in tempo a vedere, ma che rimane come un sogno sospeso, che forse abiterà le sue notti nel  castello di Asolo di cui diviene “Domina” (Signora) nell’ottobre del 1489, mantenendo il titolo di regina di Cipro,  in cui crea  una vera e propria corte rinascimentale letteraria frequentata dai più importanti artisti e intellettuali  dell’epoca.

Come suggerisce la nostra guida letteraria alla scoperta della Venezia degli armeni, non si dovrebbe mancare una visita alla chiesa di San Salvador, davanti alla tomba monumentale che conserva le ceneri della leggendaria Caterina, ultima regina di Armenia.

Aleramo Hermet,  , La Venezia degli armeni, Mursia editore, pp.183, euro 18