Padova , venerdì, 23. ottobre, 2020 18:00 (ACI Stampa).
Una vita passata all’ombra opprimente di una dittatura, di un regime che aveva fatto della privazione della libertà e della soppressione di ogni volontà individuale il proprio punto di forza. Ma paradossalmente, come spesso accade in situazioni di questo tipo, questa oppressione riesce a fiorire una forza creativa che non conosce ostacoli. Non solo.
La spinta della fede, la convinzione che l’umano non si esaurisce nella forza-lavoro e nella cieca produttività, travalicano gli ostacoli, piegano le sbarre, fanno superare i cancelli dei campi di reclusione, abbattono i muri dei minuscoli appartamenti in cui si consumano intere esistenze e generano nuova vita. È stato così per Dai Sijie, scrittore e sceneggiatore cinematografico. Figlio di un medico, Sijie è nato in Cina nel 1954 la gioventù la vive in un campo di rieducazione nella provincia del Sichuan e fino al 1974. Alla morte di Mao, entra all'Università dove studia storia dell'arte e dove riesce ad ottenere una borsa di studio in Francia. Da allora vive e lavora a Parigi.
Lo scrittore diventa improvvisamente famoso in Occidente con la traduzione del suo romanzo “Balzac e la piccola sarta cinese”. Un libro diventa un best seller e da cui è stato tratto l’omonimo film. Alcuni critici hanno sottolineato come “Balzac e la piccola sarta cinese” sia una tragedia raccontata con un soffio. La tragedia è passata alla storia sotto il nome di “rivoluzione culturale”, ovvero la deportazione di milioni di cinesi “da rieducare” per ordine di Mao nelle sperdute regioni di montagna del Paese del Dragone. Molti non sopravvissero a quella follia criminale.
I due protagonisti del romanzo di Dai, una coppia di “ragazzi di città”, affrontano quell’inferno grazie ai libri proibiti che un altro giovane era riuscito a portare con sé, nascosti in una valigia. Con le pagine di Ursule Mirouet, un romanzo di Honoré de Balzac, i due riuscirono a far vedere un mondo molto più grande, senza confini, grazie al potere della parola scritta e della narrazione, e sarà la figlia del sarto del villaggio a ricevere questo grande dono. Lei, alla fine, quel mondo vorrà conoscerlo davvero: “È partita. Vuole andare in una grande città. Mi ha detto che Balzac le ha fatto capire una cosa: che la bellezza di una donna è un tesoro inestimabile”.
Un racconto che ha lasciato il segno. Poi seguono altri libri, come, “Muo e la vergine cinese”, che cambia del tutto registro, come quello dell’ironia, del bizzarro, il raccontando le disavventure di un goffo studente di psicanalisi tornato in Cina dopo un soggiorno a Parigi per soccorrere la sua eroina, che possiede lo strano nome di “Vulcano della Vecchia Luna”, da salvare sfidando i mulini a vento della corruzione del sistema.