Città del Vaticano , mercoledì, 21. ottobre, 2020 9:00 (ACI Stampa).
Dal 31 agosto, l’arcivescovo Tadesuz Kondrusiewicz di Minsk non può rientrare in patria. Andato in Polonia per una celebrazione, è stato bloccato alla frontiera di ritorno da un viaggio dalla Polonia. Successivamente, è stato spiegato che il suo passaporto non era valido. Una situazione difficile, che rispecchia quella della Bielorussia, scossa da proteste dopo il contestato risultato elettorale di agosto che ha visto l’ennesima vittoria di Aleksandr Lukashenko. L’arcivescovo Kondrusiewicz, prima di non poter tornare in patria, aveva avuto colloqui positivi con il governo, aveva organizzato un incontro di preghiera interreligioso per la Bielorussia che aveva avuto grandissimo successo, aveva predicato riconciliazione, un tema centrale in una Bielorussia la cui nuova generazione si trova a fare i conti con il passato ed è proiettata nel futuro.
Il 19 e 20 ottobre, l’arcivescovo Kondrusiewicz è stato in Vaticano, per dei colloqui in Segreteria di Stato, per discutere della sua situazione personale e di quella del suo Paese in generale. Ne ha parlato in escusiva con ACI Stampa.
Come mai è venuto a Roma?
Sono stato chiamao dalla Segreteria di Stato. In questi giorni, mi sono incontrato con il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, e abbiamo discusso della situazione in Bielorussia, e la situazione mia in particolare. Abbiamo cercato di vedere quali passi fare per risolvere la mia situazione, dato che non posso rientrare in Bielorussia dal 31 agosto scorso. Lo sapevo già, ma ora sono ancora più convinto che la Santa Sede sta facendo importanti sforzi per risolvere questo problema.
Lei ha fatto molti appelli per la riconciliazione, anche durante le proteste in Bielorussia. Perché è importante la riconciliazione in Bielorussia?