I missionari del PIME segnalarono la necessità di fare un Sinodo della Chiesa di Cina e mandare un legato pontificio per stabilire rapporti con Pechino, anticipando in qualche modo la linea inaugurata da Benedetto XV con la Maximum Illud. e lavorarono sia nelle classi popolari, ma anche nelle classi più alte, fino a potersi stabilire nella capitale Kaifeng, che monsignor Giuseppe Tacconi, vicario dell’Henan orientale, fece poi diventare la sede di una nuova prefettura apostolica, perché “la fede è sempre stata propagata dalle capitali”.
Monsignor Tacconi fece anche di più, arrivando a proporsi come paciere tra i militari del Wuchang contro il governo di Pechino, i quali firmarono un accordo di pace nella cittadella cristiana di Kinkiang.
La lettera apostolica Maximum Illud di Benedetto XV dà una svolta al dialogo. Benedetto XV aveva scritto la lettera apostolica pensando proprio alla situazione cinese. L’invio di Celso Costantini in Cina, che portò avanti i dettami di quella lettera apostolica, portò a realizzare nel 1924 il primo Sinodo Cinese.
E anche il PIME cambiò prospettiva. Padre Paolo Manna, superiore generale del PIME, compie un lungo viaggio nelle missioni orientali tra il 1927 e il 1929, e scrisse le “Osservazioni sul metodo moderno di evangelizzazione”.
Il cardinale Parolin sottolinea che padre Manna chiedeva un “rinnovamento rivoluzionario” delle missioni, mettendo in luce quattro problemi: occidentalismo dei missionari; l’azione di denazionalizzare dei cattolici locali; le carenze di formazione de clero autoctono, la scarsa penetrazione nella società locale e della cultura.
Padre Manna, prosegue il segretario di Stato vaticano, metteva in luce che le missioni erano “organismi esteri, finanziati da denaro estero, appoggiati da governi esteri. Si doveva fondare una Chiesa locale”.
Ed è questo, spiega il Cardinale Parolin, anche l’obiettivo di oggi. Il Cardinale esalta l’impegno dei missionari del PIME a fianco della popolazione durante la guerra sino-giapponese del 1937, e nota che proprio allora i missionari “sperimentarono gli effetti di una diffidenza verso lo straniero”.
Il cardinale Parolin continua con la storia della Chiesa in Cina: ricorda l’arrivo dell’internunzio Antonio Riberi a Nanchino nel 1946, ma anche la creazione nello stesso anno del primo cardinale cinese, Thomas Tein Ken-sin, arcivescovo di Pechino, così come la nome del primo vescovo cinese di Shanghai, Ignazio Kung Pin-mei, nel 1950.
Ma il cardinale si sofferma anche sul fatto che l’atteggiamento di Pio XII, della Segreteria di Stato e di Propaganda Fide sono stati, nel periodo del passaggio alla Repubblica Popolare di Cina, prudenti e improntati sulla sollecitudine pastorale, non politica.
Pio XII – ricorda Parolin – “chiese ai missionari di rimanere al loro posto anche a prezzo di grandi sacrifici”, ma quando l’1 luglio 1949 scomunicò i comunisti – decisione “legata ai processi ai vescovi cattolici delle Chiese orientali” – la Chiesa cattolica in Cina “diventa più vulnerabile” e viene persino accusata di “voler cominciare una crociata anticomunista”.
Già dal 1947, Kaifeng è in mano ai comunisti. L’arcivescovo Gaetano Pollio nel 1951 viene “arrestato, processato e incarcerato”, e la sua nomina fu anche parte dell’interrogatorio dell’internunzio Riberi a Nanchino.
Vengono così espulsi i missionari straniera, e la domanda era – ricorda il Cardinale Parolin – se “la Chiesa cattolica sarebbe scomparsa dalla Cina”, in quanto “molti erano convinti che le Chiese cristiane non sarebbero vissute con l’allontanamento dei missionari e con i soli convertiti, e che i cattolici cinesi sarebbero diventati meno cristiani”.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
I cattolici, d’altro canto, erano pressati ad accettare il principio delle Tre Autonomie (autogoverno, autofinanziamento e autopropaganda). Il vescovo Pollio designa Stefano He Chun Ming, come successore, che era il primo prete cinese ordinato a Kaifeng. E Chung Ming “aderì inizialmente al Movimento delle Tre Autonomie”, ma poi ritrattò con una dichiarazione pubblica. Il suo obiettivo era di cercare “vie di collaborazione che non provocassero né scismi né apostasie, portando avanti la linea di non rompere con nessuno”.
D’altra parte, “la maggioranza dei cattolici cinesi rifiutò il principio delle Tre Autonomie”. Questo portò – ricorda il Cardinale Parolin, - ad un cambiamento della politica verso di loro, pressati dalla nozione che il patriottismo è un dovere di ogni cattolico.
Si inseriscono in questo quadro gli interventi di Pio XII, che nella Cupimus Imprimis del 1952 rassicura che la fede cattolica “non contraddice a nessuna dottrina che sia vera” e che “non si oppone alla naturale indole di ogni popolo, ma benevolmente li accoglie”. Nella Ad Apostolorum Principis del 1958, poi, condanna le ordinazioni illegittime. Ma è anche vero, nota il Cardinale Parolin, che molti di questi vescovi ordinati illegittimamente hanno poi chiesto, e si sono visti concedere, il perdono papale.
Certo, il Cardinale Parolin ci tiene a sottolineare che “dopo la partenza degli ultimi missionari dalla Cina nel 1954 non è nata in Cina una Chiesa del silenzio, perché non è una Chiesa del silenzio quella che tanti ostacoli annuncia il Vangelo”. E sottolinea che “sono state perse molte battaglie difficili, ma anche battaglie che si sarebbero vinte con più buona volontà”, ma che “è stata vinta la battaglia più importante: Fidem Servare”.
E una di queste battaglie forse è l’accordo tra Chiesa e Pechino già ai tempi di Pio XII. Racconta il Cardinale Parolin. “Il 17 gennaio 1951, le autorità cinesi invitarono cattolici e alcuni ministri ad un incontro, cui partecipò anche il ministro degli Esteri Chuen Lai, il quale disse che i cattolici dovevano assicurare piena lealtà patriottica al Paese pur seguendo del Papa. Si cominciò allora a stendere un documento che potesse trovare una quadra del cerchio. Dal tempo di Pio XII la Santa Sede avvertì l’esigenza del dialogo, anche se le circostanza di allora lo rendevano difficile”.
Si fecero quattro stesure dell’accordo, ma “nessuna fu soddisfacente” e al fallimento dell’accordo contribuirono “oltre alle tensioni internazionali, anche le incomprensioni tra le due parti e la sfiducia reciproca ed ha segnato tutta la storia successiva. Si sono dovuti aspettare molti anni”.