Washington , martedì, 22. settembre, 2015 18:15 (ACI Stampa).
È una Washington che si prepara sonnacchiosa al grande abbraccio con Papa Francesco. Ce ne saranno, eccome, di persone a salutare il Papa sulla Constitutional Avenue, nel percorso che va dalla Casa Bianca al Campidoglio, dove il Papa parlerà alle Camere riunite, una prima nella storia dei pontificati. Ma è anche vero che questi eventi ci mettono tempo a fare breccia nel cuore degli Stati Uniti. E forse ancora di più a Washington, dove il sentimento popolare lascia spazio al lucido ragionamento politico.
È il sintomo di una città che ha visto crescere a dismisura gli attaché parlamentari, i portaborse, i segretari. Sono 100 i deputati del Congresso, due per ogni Stato. Negli anni Cinquanta, stavano in un solo palazzo, con i loro collaboratori. Oggi stanno in tre, perché la truppa dei collaboratori è cresciuta a dismisura. Ovvio che anche una visita del Papa assume contorni politici tutti da decifrare.
Era successo nel 2008, quando Benedetto XVI arrivò negli Stati Uniti di George W. Bush. Il quale entrò – fatto senza precedenti – fin dentro l’aereo per andare a prendere il Papa tedesco. E gli organizzò un ricevimento per il compleanno che ha poco a che fare con il ricevimento che viene organizzato per Papa Francesco.
Un ricevimento che conta 15 mila invitati, ma che fa rumore soprattutto per alcune presenze: quella di suor Simone Campbell, direttrice di Network, una lobby di “giustizia sociale” con base a Washington che tra l’altro era uno dei motivi per cui la Santa Sede aveva cominciato l’investigazione sulla sigla di suore americane LCWR.
E poi, il pastore Gene Robinson, episcopaliano, che ha lasciato la moglie e ora ha un compagno, cosa che ha fatto di lui il primo vescovo apertamente gay nella storia dei protestanti. E infine Mateo Wiliamson, che era tra le guide di Dignity USA, un gruppo pro gay che si definisce anche cattolico.