Città del Vaticano , martedì, 22. settembre, 2020 11:35 (ACI Stampa).
“La cura della vita è la prima responsabilità che il medico sperimenta nell’incontro con il malato. Il Buon Samaritano, infatti, non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada: è più che mai necessario fare uno sforzo, anche spirituale, per lasciare spazio ad una relazione costruita a partire dal riconoscimento della fragilità e vulnerabilità della persona malata. La debolezza, infatti, ci ricorda la nostra dipendenza da Dio e invita a rispondere nel rispetto dovuto al prossimo”. Lo ribadisce la Congregazione per la Dottrina della Fede nella Lettera Samaritanus Bonus, pubblicata oggi, sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita.
“Dinnanzi all’ineluttabilità della malattia, soprattutto se cronica e degenerativa, se la fede manca – ricorda il documento - la paura della sofferenza e della morte, e lo sconforto che ne deriva, costituiscono oggigiorno le cause principali del tentativo di controllare e gestire il sopraggiungere della morte, anche anticipandola, con la domanda di eutanasia o di suicidio assistito”.
La Congregazione ricorda che “il dolore è sopportabile esistenzialmente soltanto laddove c’è la speranza. La speranza che Cristo trasmette al sofferente e al malato è quella della sua presenza, della sua reale vicinanza. La speranza non è soltanto un’attesa per il futuro migliore, è uno sguardo sul presente, che lo rende pieno di significato”.
Il testo – autorizzato dal Papa – conferma la posizione da sempre espressa dalla Chiesa. “La vita umana è un bene altissimo e la società è chiamata a riconoscerlo. La vita è un dono sacro e inviolabile ed ogni uomo, creato da Dio, ha una vocazione trascendente ed un rapporto unico con Colui che dà la vita. Il valore inviolabile della vita è una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico. Pertanto, sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto riconoscere la sua autonomia e valorizzarla, ma al contrario significa disconoscere il valore della sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore, e il valore della sua vita, negandogli ogni ulteriore possibilità di relazione umana, di senso dell’esistenza e di crescita nella vita teologale. Di più, si decide al posto di Dio il momento della morte. Per questo l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore”.
Tutto ciò accade – spiega la CDF – per l’equivoco concetto di morte degna, per una erronea definizione di compassione e per crescente individualismo. In definitiva, la lettera ribadisce “come insegnamento definitivo che l’eutanasia è un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente. L’eutanasia è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza. L’eutanasia è un atto omicida che nessun fine può legittimare e che non tollera alcuna forma di complicità o collaborazione, attiva o passiva. Coloro che approvano leggi sull’eutanasia e il suicidio assistito si rendono, pertanto, complici del grave peccato che altri eseguiranno. Costoro sono altresì colpevoli di scandalo perché tali leggi contribuiscono a deformare la coscienza, anche dei fedeli”.