Venezia , mercoledì, 9. settembre, 2020 18:00 (ACI Stampa).
Era arrivato a Venezia con dei compagni 303 anni fa, in fuga dalle conquiste ottomane sull’Armenia. Ed a Venezia Mechitar di Sabaste fondò una congregazione, quella dei mechitaristi, e ottenne dalla Serenissima in concessione una isola, quella di San Lazzaro, dove tuttora c’è una foltissima comunità armena. L’8 settembre, la sua causa di beatificazione è stata riaperta, alla presenza del Patriarca Francesco Moraglia.
Riaperta, e non perché sia venuta meno la fama di santità dell’abate Mechitar. Ma, certo, quando la causa fu aperta per la prima volta nel 1844, non ci si sarebbero aspettate due guerre mondiali, una epidemia come l’influenza spagnola e varie vicissitudini che hanno di fatto congelato l’iter. Fino a ieri.
Presiedendo la celebrazione, il patriarca Moraglia ha ricordato la storia e la vita dell’abate Mechitar, nato come Manuk il 7 febbraio 1676 a Sebaste, nell’Anatolia Centrale. La celebrazione si è tenuta nella chiesa di San Martino, perché proprio a fianco alla chiesa Mechitar e i suoi confratelli si sistemarono inizialmente quando per la prim volta arrivarono a Venezia nel 1715. E fu nel 1717 che presero poi possesso di San Lazzaro, con la congregazione mechitarita che era già stata fondata nel 1700 a Costantinopoli, compiendo – ha detto il Patriarca Moraglia – “una sintesi originale tra la Regola di San Benedetto, l’antichissima tradizione monastica, liturgica e spirituale della Chiesa armena e alcuni elementi dei moderni istituti di perfezione della Chiesa latina di costituzione post-tridentina”.
Moraglia sottolinea che il ritardo nella causa di beatificazione “non solo non ha offuscato, ma ha quasi reso più brillante e attuale la fama di santità di Mechitar”, considerato come “una sorta di “secondo illuminatore” della nazione alla stregua di Gregorio, che nel IV secolo convertì il re Trdat e tutto il popolo.
Il Patriarca Moraglia ricorda che il carisma di Mechitar include l’insegnamento del Vangelo e dell’amore per Gesù Cristo e la Vergine Maria, l’attività pastorale, con un occhio particolare al popolo armeno, la promozione umana attraverso l’educazione, nonché l’ecumenismo e il dialogo tra le Chiese, perché – spiega il Patriarca – “l’Abate ebbe sempre a cuore l’unità della Chiesa in termini che possiamo veramente ritenere precorritori dello spirito ecumenico” che si è sviluppato dopo il Concilio Vaticano II.