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Sulle mie spalle, il film su San Leopoldo Mandic diventa una mostra fotografica

Immagini della vita del santo e della Padova tra le due Guerre

Una foto della Mostra |  | Santantonio.org
Una foto della Mostra | Santantonio.org
Una foto della Mostra |  | Santantonio.org/ Claudio Mainardi
Una foto della Mostra | Santantonio.org/ Claudio Mainardi

File di letti sotto la volta spoglia di una chiesa, mentre dal rosone ormai senza più vetri un fiotto poderoso di luce inonda lo spazio e la figura di un piccolo frate si staglia tra quelle fila di letti e di dolore. E’ una foto in bianco e nero, e colpisce per la sua forza e la capacità evocativa.

Fa parte di una serie di immagini tratte dalle scene girate sul set di un film. Il titolo è “Sulle mie spalle”, diretto dal regista Antonello Bellucco, già autore del film “Antonio guerriero di Dio”, ed avrà anche un titolo in inglese “On my shoulders”, perché avrà una distribuzione internazionale. E nel film viene raccontato la figura di san Leopoldo Mandic, il frate cappuccino diventato santo. E da quest’anno il protettore dei malati di tumore.

Le grandi foto campeggiano nella bella sala dello Studio Teologico dalla Basilica di Sant’Antonio di Padova, a cui si giunge dopo aver attraversato il chiostro principale, al cui centro svetta la magnifica magnolia pluricentenaria, che non si smetterebbe mai di contemplare. Ed è qui che si possono ammirare le foto di scena, che preparano alla visione del film (in uscita il 17 settembre)  e comunque rappresentano l’occasione per un nuovo, insolito incontro ravvicinato con il grande santo. In fondo, la vicinanza tra san Leopoldo e Sant’Antonio non è poi così casuale. Appartenevano entrambi all’ordine francescano, arrivavano da un Paese straniero ma a Padova hanno trovato una reale, seconda patria, e sono stati, continuano ad essere amati dai padovani e poi da schiere di devoti in tutto il mondo. Altro punto in comune: la capacità di penetrare nei cuori, anche i più afflitti o i più duri.

Ancora un punto in comune: il regista Bellucco, che appunto ha già girato un film sul Santo per antonomasia e ora presenta quest’opera sul grande cappuccino.

Il regista focalizza il proprio racconto soprattutto nel periodo tra il 1925 e il 1945, (San Leopoldo è morto nel 1942) attraversando grandi eventi, quali la Prima Guerra mondiale, la crisi del ’29, il fascismo, le origini della Seconda Guerra Mondiale. Alla Storia con la S maiuscola si intrecciano tante piccole storie di gente comune, di famiglie, di un’umanità ferita e dolente: tra loro la figura di padre Leopoldo. Quel piccolo frate, fragile e malato, che aveva sognato di fare il missionario, che aveva il cuore fisso sulla speranza di veder la riconciliazione tra Chiesa d’Oriente e d’ Occidente, e che invece doveva passare la sua vita chiuso in un convento e dentro un confessionale. Una vita intensa, ma in fondo povera di avvenimenti “esterni”. Il regista, dunque, ha scelto di girare un film non tanto biografico quanto “sulla speranza che padre Leopoldo è riuscito a dare alla vita degli altri, se si pensa a quanti uomini e donne sull’orlo del suicidio  hanno trovato la forza di reagire grazie al suo sostegno”, ha spiegato.

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Le foto del backstage dipingono anche una Padova degli anni Quaranta, poi travolta dalla guerra, i soldati in trincea, le infermiere, le famiglie travolte dagli eventi. Oltre 60 fotografie realizzate dall’importante fotografo,  Claudio Mainardi, interpretate con poesia e sensibilità, non solo la “trama” del film, ma i momenti vissuti nel set, testimonianza nella testimonianza, e capace di far trasparire, negli intensi primi piani, la grandezza e la santità di Leopoldo Mandic, la speranza che ha sempre indicato, senza esitazione, solo verso una direzione: verso Dio, che è Padre e Misericordia. E diceva anche di rivolgersi sempre, con fiducia, a Lei, alla Madre di Dio, che il santo amorevolmente chiamava “la Parona”, usando un termine veneto, quel dolce dialetto che lui usava ogni giorno, imparando ad amarlo e a sentirlo come la sua nuova lingua, senza mai dimenticare la sua patria lontana, quella Castelnuovo che si affaccia sulle suggestive Bocche di Cattaro, verso il Montenegro, e più giù, verso quell’Oriente tanto amato da padre Leopoldo.