Per quanto si parli molto di rinnovamento, l’antidoto proposto è tradizionale. La Congregazione chiede infatti di riscoprire “l’iniziazione cristiana”, parla di forme di prossimità e chiede alle comunità delle parrocchie di sviluppare “una vera e propria arte della vicinanza”, affida ai parroci la responsabilità di formare i fedeli e di seguirli.
Poi, certo, ci sono le strutture. La Congregazione chiede che la parrocchia sia “una comunità della comunità”, inclusiva, evangelizzatrice, attenta ai poveri su stimolo dei suoi pastori, e modellata anche sull’esempio dei santuari, verso cui promuovere – come già si fa spessissimo – pellegrinaggi.
La Congregazione chiede alle parrocchie di non essere troppo burocratiche; di cambiare, sì, ma con “flessibilità e gradualità”, considerando quello che c’era prima e coinvolgendo tutto il popolo di Dio; di superare “una concezione autoreferenziale della parrocchia”, ma anche “la clericalizzazione della pastorale”.
Quindi, ci sono i consigli organizzativi. Si propone di sviluppare meglio l’idea di “unità pastorale e zona pastorale”, sebbene consapevoli che “una semplice nuova denominazione per realtà già esistenti” non porta alla “soluzione delle molteplici problematiche dell’ora presente”.
L’idea è quella di individuare in ogni diocesi “parti territoriali distinte” che possano essere realtà intermedie che fungano da tramite tra la diocesi e la parrocchia, in modo da migliorare l’attenzione verso il territorio.
L’istruzione spiega anche come il vescovo deve procedere all’erezione di un gruppo di parrocchie, e mette in luce che la soppressione di parrocchie non ha motivi legittimi nella “diminuzione del clero diocesano il decremento demografico e la grave crisi finanziaria della diocesi”. Accorpamento, insomma, non significa abolizione.
Altre strutture intermedie sono il “vicariato foraneo”, o l’unità pastorale, raggruppamento di parrocchie che deve essere “quanto più possibile omogeneo”, in cui ogni parrocchia deve essere affidata a un parroco o a un gruppo di parroci. Sarà il vescovo invece a valutare se ci sarà un Consiglio per gli Affari Economici e un Consiglio Pastorale Parrocchiale per ogni parrocchia, o uno per l’intera unità.
Queste due strutture sono fortemente raccomandate nell’istruzione.
Il Consiglio per gli Affari Economici deve essere composto da almeno tre fedeli più il parroco che “non è compreso tra i membri, ma lo presiede”. È una struttura che serve a meglio gestire i beni della parrocchia, che non deve includere necessariamente solo persone della parrocchia, e che “può svolgere un ruolo di particolare importanza nel far crescere, all’interno delle comunità parrocchiali, la cultura della corresponsabilità, della trasparenza amministrativa e del sovvenire alle necessità della Chiesa”.
Il Consiglio Pastorale parrocchiale è invece fortemente raccomandato, sebbene non obbligatorio, con la funzione di “ricercare e studiare proposte pratiche in ordine delle iniziative pastorali e caritative che riguardano la parrocchia, in sintonia con il cammino della diocesi”, e lo scopo di “realizzare la centralità del popolo di Dio”.
Parlando del popolo di Dio, la Congregazione ci tiene a specificare come, sebbene anche laici possano ricoprire alcuni incarichi all’interno della diocesi, e persino incarichi di responsabilità, va evitata una qualunque terminologia che faccia confondere i piani: il sacerdote è sempre il sacerdote, il diacono è il diacono e il laico è il laico, ciascuno con tutte le sue prerogative, ma nessuna in più.
Ai sacerdoti si raccomanda una “vita comune”, o perlomeno di sviluppare “il valore dello spirito di comunione”, mentre ogni parroco è davvero chiamato ad avere le chiavi della vita della sua comunità, e infatti è consigliato nominarlo a tempo indeterminato, salvo eccezioni.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
Particolare attenzione è data ai diaconi, ministri ordinati cui possono essere affidati “molti incarichi ecclesiali”, e cioè “tutti quelli che non comportano la cura delle anime”, inclusa l’amministrazione dei beni”.
Le “altre forme di affidamento dell’attività pastorale” sono solo eccezionali, cui si può ricorrere solo in caso di mancanza di sacerdoti, avendo cura che “sia il diacono, sia le altre persone non insignite dell’ordine sacro che partecipano all’esercizio della cura pastorale, possono compiere soltanto le funzioni che corrispondono al rispettivo stato diaconale o di fedele laico”.
Niente di nuovo sotto il sole, insomma, nessuna apertura a forme nuove di sacerdozio. Piuttosto, l’invito a un maggiore coinvolgimento del popolo di Dio nella vita delle parrocchie, che passa anche dalla sensibilizzazione per “contribuire volentieri alle necessità della parrocchia”, ovvero con offerte per la Santa Messa, specialmente lì dove questa “è ancora l’unica fonte di sostentamento per i sacerdoti e anche di risorse per l’evangelizzazione”.
L'offerta, va da sé, deve essere un atto libero, e viene invogliata "quanto più i presbiteri da parte loro offriranno esempi “virtuosi” nell’uso del denaro, sia con uno stile di vita sobrio e senza eccessi sul piano personale, che con una gestione dei beni parrocchiali trasparente e commisurata non su “progetti” del parroco o di un gruppo ristretto di persone, magari buoni, ma astratti, bensì sui reali bisogni dei fedeli, soprattutto i più poveri e bisognosi".