Ma lo sviluppo maggiore arriva con un teatro con dialoghi che definiscono la situazione molto più di ogni scenografia. Gli autori sono interni. Da ricordare in particolare in questa epoca Bernadino Stefonio che scrive tragedie e storie di santi che furono rappresentate per tutto il 1600.
Testi in latino, canti, che si ripetono soprattutto a carnevale. Il carnevale romano è un evento molto particolare per la città, e ovviamente anche i seminaristi partecipavano a loro modo.
Il carnevale diventa il perno della vita teatrale del Seminario. Un “carnevale santificato” che i gesuiti propongono come alternativa a quello cittadino decisamente poco adatto ad un seminario.
Il problema era per i convittori nobili, coloro che non avevano vocazione ma studiavano dal laici diremmo oggi. Insomma per non mettere in pericolo i chierici il teatro si faceva “in casa” con un pubblico selezionato che doveva giudicare le varie rappresentazioni.
I teatri a Roma non mancavano, negli annali del Seminario si parla di quello del Seminario stesso costruito a partire dal 1670. Il nuovo teatro viene inaugurato nel 1671 con due spettacoli uno dei chierici e uno dei convittori. Tutta Roma apprezza le esibizioni tanto che nelle cronache del tempo si legge che Il Ballo dei sette disperati, intermezzo tra due tragedie “ fece stupire tutta Roma e fu tutto invenzione dei nostri chierici”.
Lo sviluppo del teatro prosegue nel ‘700 nonostante le traversie politiche e pontificie.
Nel 1718 tra i convittori arrivano anche personaggi dell’alta nobiltà germanica. Uno tra loro è Sigismund von Schrattenbach che sarà arcivescovo di Salisburgo e assumerà come vice maestro di cappella Leopold Mozart, padre di Wolfgang.
Nella sede di Palazzo Gabrielli il teatro venne inaugurato nel 1722 con un testo del gesuita Simone Poggi con uno stile fortemente ignaziano. Le manifestazioni diventano sempre più ricche e complesse con apparati costosi.
Ma intanto cresce il sentimento di insofferenza nei confronti della Compagnia di Gesù. Anche il Seminario viene così visto come estraneo alla romanità, il clero romano male vede le grandi spese di stilo franco- spagnolo. Apparati sontuosi come quello visitato da Benedetto XIV di cui parla F. Valesio nel suo Diario di Roma. Il cortile del Seminario era “ricoperto di tele dipinte a marmi con gli archi che già vi sono e ne’ vani erano rappresentati paesi, nella parte superiore erano ad uso di fenestre con tappeti di velluto. (…) Incontro vi era un ricchissimo trono con baldacchino di velluto rosso con bizzarre cascate e in altro v’erano due virtù”.
La descrizione è lunga e dettagliata e rende bene l’idea di sfarzo.
Nonostante la passione per il teatro dei seminaristi che seguivano anche la concorrenza tra i vari gruppi teatrali romani si andava verso la fine di quella esperienza.
Il Seminario Romano avrebbe chiuso i battenti insieme alla Compagnia di Gesù. Le stagioni teatrali vennero ridotte e nel carnevale del 1772 Il Malato immaginario di Moliére fu l’ultima rappresentazione nel teatro di Palazzo Gabrielli.
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Papa Clemente XIV sei mesi dopo sciolse i gesuiti e chiuse il seminario che non riaprì che due anni dopo. Ma ormai tutto era diverso.
Solo in epoca contemporanea le rappresentazioni teatrali e musicali torneranno a fa parte della vita del seminarista del Romano con la la Compagnia teatrale "Giovanni Paolo II" del Pontificio Seminario Romano.