Benedetto XVI si è dedicato alla parola di Dio con la coscienza che, come ha detto poco dopo la sua elezione, egli non si proponeva alcun programma di governo, per lo meno non così come lo si intende comunemente; piuttosto egli ha dichiarato inequivocabilmente: “Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia” (Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma, 24 aprile 2005).
Poiché Benedetto ha visto come compito primario del suo ministero quello di vincolare l’intera Chiesa alla parola di Dio e di garantirne l’obbedienza ad essa, egli era anche cosciente del fatto che il suo primo dovere consisteva nel vivere lui stesso nell’obbedienza esemplare. E poiché ha amato così tanto la Sacra Scrittura e ha guidato gli uomini con l’annuncio e la predicazione alla conoscenza del Vangelo, il suo servizio petrino avrebbe dovuto essere caratterizzato come un pontificato in tutto e per tutto evangelico. Per questo motivo, nell’ ultima udienza generale, con la quale si è congedato come vescovo di Roma, Benedetto ha potuto confessare con franchezza, di essere stato accompagnato sempre nel suo ministero di successore di Pietro dalla solida coscienza “che la Chiesa crea la sua vita a partire dalla parola di Dio” (Benedetto XVI, Discorso all’Udienza generale del 27 febbraio 2013).
Papa Benedetto ha inteso e concepito il suo pontificato secondo il significato che ad esso attribuiva Sant’Ignazio di Antiochia, il quale nella sua Lettera ai Romani (circa nell’anno 110), ha indicato e vissuto la Chiesa di Roma come colei che ha la “presidenza nell’amore”, e questo nella convinzione che la presidenza nella fede e nella sua dottrina deve essere anche e soprattutto presidenza nell’amore. Perché una fede senza amore non sarebbe fede nel Dio biblico; la dottrina della Chiesa raggiunge i cuori degli uomini solo se conduce all’amore.
Riluce qui il motivo più profondo, per cui nel pensiero e nell’operare di Benedetto XVI verità e amore non sono termini in contraddizione; piuttosto si esigono e alimentano vicendevolmente, poiché la verità senza l’amore può diventare brutale e l’amore senza verità può diventare banale. Papa Benedetto ha, per questo, riassunto nella loro unità inscindibile la verità della fede nell’amore di Dio per l’uomo e nell’amore dell’uomo verso Dio e verso i suoi fratelli, ponendo tutto il suo pontificato al servizio dell’annuncio di questa fede. Poiché egli ha guidato la Chiesa principalmente attraverso la sua dottrina, del suo pontificato in futuro, come eredità, resterà senz’altro il suo magistero, che ha esercitato non solo con le sue tre encicliche – Deus caritas est, Spe salvi, Caritas in veritate -, ma anche nel corso delle udienze generali con le sue profonde catechesi sugli apostoli e soprattutto su San Paolo, sui Padri della Chiesa e sui grandi teologi e le grandi teologhe nella storia della Chiesa, sul sacerdozio, sulla preghiera e sulla fede.
Secondo filo conduttore: Il servizio alla verità, alla ragione e alla bellezza della fede
Papa Benedetto, nel suo ricco magistero, non ha mai perso di vista la fede dei semplici. Egli era piuttosto convinto che la verità della fede si manifesta in ultima analisi ai semplici e ai cuori umili e può essere colta solo con gli occhi della fede, come lui stesso ha detto nel suo messaggio “Urbi et Orbi” del Natale 2010: “Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il ‘sì’ del nostro cuore” (Benedetto XVI, Messaggio “Urbi et Orbi”, 25 dicembre 2010).
Per poter essere e rimanere una fede umana, la fede cristiana deve quindi cercare continuamente il dialogo con la ragione umana. Il dialogo tra fede e ragione è stato particolarmente a cuore a Benedetto XVI, poiché egli era profondamente convinto che esse dipendano l’una dall’altra e solo nel dialogo reciproco possono essere superate le patologie della ragione e possono essere evitate le malattie della fede. Perché senza la fede la ragione minaccia di diventare unilaterale e unidimensionale; e senza la ragione la fede minaccia di nascondere la sua verità e di diventare fondamentalista. Questi temi sono stati continuamente chiamati in causa anche nel corso dei suoi oltre venti viaggi apostolici all’estero e in Italia, e soprattutto negli incontri con il mondo della cultura, della scienza e della politica. Così facendo egli ha offerto spunti essenziali per una riflessione profonda sulla fede e sulla sua forza illuminante per la convivenza tra gli uomini.
Con la convinzione che la domanda di Dio è di fondamentale significato per le questioni che attengono al futuro dell’umanità. Con la sua fondamentale omiletica, Papa Benedetto ha inteso contribuire a tenere viva la questione di Dio nelle società moderne.
Il dialogo tra fede e ragione per Benedetto XVI è stato essenziale soprattutto perché Dio stesso è logos e l’intera creazione è testimone di quella ragione. Il logos non è solo una ragione matematica, ma ha anche un cuore ed è amore. Da ciò Papa Ratzinger ha tratto la seguente conclusione: “La verità è bella, verità e bellezza vanno insieme: la bellezza è il sigillo della verità” (Benedetto XVI, Discorso per la chiusura degli Esercizi Spirituali della Curia Romana, 23 febbraio 2013).
È stata davvero un’esigenza del cuore di Benedetto XVI la coltivazione del dialogo con l’arte, in quanto mondo della bellezza, ma anche e soprattutto egli si è adoperato per portare alla luce la bellezza della fede stessa, per far sì che della fede non si parlasse soltanto, ma che essa soprattutto venisse celebrata.
Terzo filo conduttore: Riforma silenziosa dal centro della fede
Da quanto detto si capisce il valore fondamentale che ha avuto la liturgia non solo nel suo servizio petrino, ma soprattutto nel pensiero di questo fine teologo, come egli stesso ha riconosciuto: “Così come ho imparato ad intendere il Nuovo Testamento come l’anima della teologia, così ho colto la liturgia come il suo motivo di vita, senza la quale quella inaridisce.” (Joseph Ratzinger, La mia vita, Milano 1997, 64).
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Papa Benedetto si è impegnato soprattutto perché la liturgia fosse celebrata nella sua bellezza, poiché essa è celebrazione della presenza e dell’opera del Dio vivente e perché essa vuole condurci cioè al e nel mistero di Dio. Questo vale in particolare per la celebrazione dell’Eucaristia, che per Benedetto è il gesto di adorazione più elementare e grande della Chiesa e che scaturisce continuamente da essa. Per questo motivo la Messa non è semplicemente un accadere isolato nella Chiesa: la Chiesa è nella sua essenza celebrazione eucaristica e vive nella comunione dell’Eucaristia.
Agli occhi di Papa Benedetto è dalla liturgia che deve derivare ogni riforma della Chiesa, perché solo essa può essere un rinnovamento della fede che parte dal centro, perché nel suo senso originario la riforma è un processo spirituale strettamente imparentato con la conversione. In considerazione di ciò va inteso in tutta la sua drammaticità il fatto che proprio un Papa per il quale non ha ponderato l’apparenza esteriore, quanto l’essere interiore della Chiesa e il suo rinnovamento, si sia dovuto occupare nel corso del suo pontificato di così tanti problemi emersi a livello d’opinione pubblica, come Vatileaks, fino alla particolarmente dolorosa piaga della pedofilia esplosa proprio nell’anno sacerdotale. Tutto ciò possiamo però leggerlo in chiave provvidenziale se consideriamo che solo un Papa cui interessi il rinnovamento interiore della Chiesa e che sia a conoscenza anche dell’abisso del peccato e del male presente nella Chiesa stessa può essere in grado di rimuovere da essa così tanta sporcizia.
Papa Benedetto ha usato e consumato molta energia al servizio di questa, per così dire, silenziosa riforma della Chiesa. Con grande sensibilità, egli ha preso in considerazione la situazione critica della fede soprattutto, ma non solo, in Europa, e così facendo si è convinto che la riforma della Chiesa deve iniziare con un rinnovamento della fede che parta dal suo nucleo centrale. Per lui la promozione di una nuova evangelizzazione nelle società moderne ha rappresentato un suo desiderio fondamentale e facendola propria egli ha anche accolto una delle richieste decisive del Concilio Vaticano II, a cui come teologo ha partecipato ed alla cui stesura dei testi ha collaborato e che gli è servito come permanente cornice di riferimento del suo magistero. Benedetto XVI è stato un Papa coerentemente legato al Concilio Vaticano Secondo. È uno dei suoi grandi meriti, dunque anche parte dell’eredità del suo pontificato, il fatto che egli si sia occupato intensamente dell’interpretazione autentica del Concilio e della sua ricezione nella Chiesa, che l’abbia difesa dalle molteplici messe in discussione e, in risposta a quelle correnti di parte progressista e tradizionalista che nel Concilio Vaticano II salutano o lamentano una rottura con la tradizione, abbia sostenuto il concetto dell’ermeneutica della riforma nella continuità.
Quarto filo conduttore: Dialogo al servizio della Pace
Con fedeltà indefettibile al Concilio, Papa Benedetto ha posto l’accento su quei temi che in maniera particolare hanno a che fare con il dialogo della Chiesa con il mondo moderno, cioè il dovere ecumenico, il dialogo interreligioso e la libertà religiosa. A Papa Benedetto è stato particolarmente a cuore il dialogo ecumenico. Sebbene dopo quasi cinquant’anni il movimento ecumenico nella Chiesa cattolica non avesse potuto raggiungere l’unità visibile dei cristiani, e piuttosto quell’obiettivo nel frattempo fosse diventato sempre meno chiaro e oggi l’ecumenismo si trovi in una situazione tutt’altro che facile, Benedetto XVI si è mantenuto fermo sul dovere ecumenico della Chiesa cattolica e ha curato in particolare il dialogo dell’amore. Ha dedicato tanto tempo ad incontri con rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali, incontri che sono stati continuamente ideati, promossi e cercati, realizzando già in questo modo un primato ecumenico.
Anche dopo la sua rinuncia al pontificato, la maggior parte delle voci del mondo religioso, nella grande ecumene dell’orbe, ha espresso il proprio loro apprezzamento ed il proprio ringraziamento per la sua apertura e ha sottolineato soprattutto il chiaro e limpido messaggio del suo magistero.