Città del Vaticano , giovedì, 2. luglio, 2020 14:00 (ACI Stampa).
In pochi lo ricordano, ma c’è una decisione di Benedetto XV, presa un secolo fa, che è un segno concreto dell’anello di congiunzione tra Oriente e Occidente. È una scelta che rafforza l’idea di Benedetto XV di guardare a Est della Chiesa, e anche alle Chiese di Rito Orientale, ma che in fondo è anche un passaggio necessario perché le missioni di Oriente cambino definitivamente: la decisione di proclamare Sant’Efrem dottore della Chiesa.
Benedetto XV lo fa con una enciclica, la Principi Apostolorum Petro, che viene firmata il 5 ottobre 1920. Nato nel 306 a Nisibi, città della Mesopotomia governata da Roma, Sant’Efrem viene battezzato verso i 18 anni, e guida insieme al vescovo della città, Giacomo, una scuola di teologia. Ordinato diacono nel 338, rimase a Nisibi fino alla conquista persiana, e poi si ritirò negli ultimi anni ad Edessa, dove alternò vita e ascetica e insegnamento e dove morì nel 373. Prolifico scrittore, teologo raffinato che non prese parte alle dispute del IV secolo, ma ne fu influenzato, comprese l’importanza della musica e della poesia per diffondere la fede.
La vita di Sant’Efrem è ampiamente spiegata nell’enciclica di Benedetto XV. Ma è nelle ragioni della scelta di proclamarlo dottore della Chiesa che si trova un affresco storico importante per comprendere i tempi.
Prima di tutto, c’è la riaffermazione del primato petrino. Benedetto XV ricorda che “i primi Padri, specialmente quelli che occupavano le cattedre più celebri dell’Oriente, ogni qual volta erano travagliati da ondate di eresie o da discordie intestine erano soliti ricorrere a questa sede apostolica, la sola capace di assicurare la salvezza in situazioni estremamente critiche”.
Tra quelli che hanno agito così, continua Benedetto XV, ci sono Basilio Magno, Atanasio e Giovanni Crisostomo. Dunque, lo sguardo ad Oriente per Benedetto XV è una missione della Chiesa universale, ed ha una reciprocità nello sguardo dell’Oriente su Roma.