Città del Vaticano , mercoledì, 1. luglio, 2020 14:00 (ACI Stampa).
Alla fine di tutto, la risposta è Cristo. Perché se c’era stata la Prima Guerra Mondiale, la ragione non poteva essere che l’allontanamento da Cristo, dai suoi precetti, dal suo Vangelo. E, se si voleva tornare alla pace, la risposta non poteva essere che tornare a Cristo. Lo spiegava Benedetto XV, facendo gli auguri di Natale al Collegio Cardinalizio il 24 dicembre 1920. Delineando, in quello stesso discorso, le cinque piaghe che contribuivano alla rovina morale dei popoli nel discorso di auguri natalizi al Sacro Collegio del 24 dicembre 2020.
Le piaghe erano: “la negazione dell’autorità; l’odio dei fratelli; la smania dei godimenti; la nausea del lavoro; l’oblio infine di quell’uno che è in questa terra necessario, e che ogni altra cosa, come secondaria, sorpassa”. E l’antidoto a quelle piaghe era solo uno: il Vangelo.
In quel discorso di fine anno si racchiudevano tutte le motivazioni per cui la Chiesa si era così tanto impegnata per la pace. Una pace che passava per la ricerca della concordia tra i popoli e una ricerca di concordia che la Santa Sede perseguiva anche dal punto di vista diplomatico.
Non c’era solo la ripresa delle relazioni diplomatiche con Inghilterra e Francia. Dopo la Prima Guerra Mondiale, Benedetto XV avvia una vera e propria diplomazia dei concordati, avviando dialoghi con le nuove nazioni nate dopo la Conferenza di Parigi. È l’anno del Trianon, considerato una sciagura dall’Ungheria che vede perdere due terzi di territorio e l’accesso al mare. È l’anno in cui il crollo degli imperi dà all’Europa un nuovo assetto. La Polonia sfugge al dominio sovietico, l’Ucraina fa sforzi senza successo per ottenere uno Stato, la Romania ingrandisce il suo territorio lasciando però ferite che durano ancora oggi.
Di questa rinnovata attività diplomatica, Benedetto XV parlò al concistoro del 13 giugno 1920. Disse ai cardinali: “Voi lo avete veduto, Venerabili fratelli: appena finito l’immane conflitto, quasi tutte le nazioni civili, che non mantenevano rapporti diplomatici con noi, si affrettarono, di loro spontanea volontà, a esporci il desiderio di averne, ben persuase che ne ricaverebbero molteplici vantaggi”.