Città del Vaticano , mercoledì, 17. giugno, 2020 9:47 (ACI Stampa).
Il modello di preghiera per i cristiani è quello di Mosé, così vicino a Dio da poterglisi rivolgere come ad un amico, così uomo e fragile come uomo da poter essere misericordiosi con gli altri uomini. E questo perché Mosè "non ha mai perso la memoria del suo popolo e questa è una grandezza dei pastori: non dimenticare il popolo, non dimenticare le radici".
L’Angelus viene recitato di nuovo dalla finestra dello studio del Palazzo Apostolico, ma Papa Francesco continua a tenere le udienze generali nella sua Biblioteca privata, senza folla ad ascoltarlo. E così succede anche per questa settimana udienza del ciclo della preghiera, che si sofferma sulla preghiera di Mosé.
Mosé, che quando viene chiamato dal Signore è “un fallito”, passato dall’essere funzionario in Egitto a pascolare, da rifugiato, nella terra di Madian un gregge non suo, colpevole di essersi, sì, schierato in difesa degli oppressi, ma in maniera violenta.
In questo silenzio, Dio convoca Mosé davanti al roveto ardente, e lo invita a mettersi alla guida del suo popolo, ascoltando tutte le obiezioni di Mosè che non si sente degno. “La domanda che fiorisce più spesso sulle labbra di Mosè è la domanda ‘Perché?’, nota Papa Francesco.
E così, dice il Papa, Mosè “appare come uno di noi”, con tutta la sua debolezza. Una debolezza che permette, a lui incaricato da Dio di portare la legge e guidare il suo popolo, di mantenere “stretti legami di solidarietà con il suo popolo, specialmente nell’ora della tentazione e del peccato”.