L’ordine prevede che gli Stati Uniti daranno la priorità alla libertà religiosa nei programmi di aiuto estero, e il presidente Trum ha chiesto al Dipartimento di Stato di coordinarsi con USAID per assicurare almeno 50 milioni di dollari per anno al tema.
Il Dipartimento di Stato USA sulla libertà religiosa
Preoccupazione per i luoghi di culto è emersa in una conferenza stampa di presentazione del rapporto annuale del Dipartimento di Stato USA sulla libertà religiosa nel mondo. Presentando il rapporto il 10 giugno, Sam Brownback, ambasciatore USA per la libertà religiosa internazionale, ha voluto anche sottolineare i rischi per la libertà di culto nati con l’emergenza coronavirus.
Secondo Brownback, i governi in alcune regioni del mondo potrebbero cercare di tenere chiusi i luoghi religiosi anche oltre l’attuale emergenza nazionale, in modo da mettere sotto attacco le minoranze religiose.
Si tratta, secondo Brownback, di una profonda preoccupazione, perché “non vogliamo vedere come avanzo di questo impatto la chiusura di queste istituzioni religiose.
Durante la pandemia, alcune minoranze religiose sono anche state stigmatizzate con l’accusa di aver provocato o diffuso il coronavirus, come ha notato anche lo scorso marzo la Commissione USA sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF).
Brownback ha anche espresso apprezzamento per i leader religiosi che hanno lavorato insieme agli ufficiali sanitari e che hanno sospeso i grandi raduni religiosi, specialmente durante i tempi di Pasqua, Pesach e Ramadan.
Il rapporto del Dipartimento di Stato è stato introdotto da Mike Pompeo, Segretario di Stato USA, il quale ha affermato che “mentre l’America non è una nazione perfetta da molti punti di vista, cerchiamo sempre di raggiungere una unione ancora più perfetta”.
Parlando del rapporto, Brownback ha detto che le maggiori preoccupazioni vengono dalla Cina, considerata la durezza della sua persecuzione religiosa e le sue azioni come esportatore di repressione.
Brownback ha anche sottolineato che “non ci sono prove che gli uiguri nei campi di concentramento siano stati rilasciati”, come invece dice il governo cinese. Gli uiguri sono un gruppo musulmano in Cina che soffre di fortissime persecuzioni: la Cina ne ha incarcerati circa 1,8 milioni. Si tratta di una popolazione di etnia Kazakha, Kirghiza e di altre minoranze musulmane nella Regione Autonoma di Xinjang. Ci sono state segnalazioni di torture, rinuncia forzata alla fede e lavoro forzato nei campi, con alcuni detenuti inviati ai lavori forzati in fabbriche quando sono “rilasciati dai campi.
Brownback ha anche denunciato che in Iran 109 membri di gruppi di minoranza religiosa sono incarcerati per ragioni di fede. Nel 2019, ha aggiunto, due musulmani della minoranza Ahwazi, che erano in carcere, sono stati condannati alla pena capitale per “inimicizia contro Dio”.
Brownback si è detto anche molto preoccupato dall’escalation di violenza in Nigeria e la mancanza di una “efficace risposta” da parte del governo di Lagos.
Pompeo ha invece notato trend positivi in Gambia, che è diventato membro della Alleanza Internazionale per la Libertà Religiosa e che ha portato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia crimini commessi contro i musulmani Rohingya.
Pompeo ha anche apprezzato l’impegno degli Emirati Arabi Uniti, facendo in particolare riferimento al viaggio di Papa Francesco nel febbraio 2019.
Altre nazioni di particolare preoccupazione sono il Vietnam e l’India. Secondo il rapporto del dipartimento di Stato, in Vietnam “membri di gruppi religiosi hanno detto che alcune autorità locali e provinciali hanno usato i sistemi legali locali e nazionali per rallentare, delegittimare e sopprimere le attività religiose di gruppi che hanno resistito alla gestione da parte del governo”.
Secondo il rapporto, i gruppi religiosi in Vietnam che non hanno riconoscimento ufficiale da parte del governo “hanno riportato diverse forme di disturbo da parte del governo”, inclusi attacchi, arresti, processi, sorveglianza, restrizioni di viaggio e sequestro di proprietà, o anche negazioni di richieste registrazione e negazione di aver ricevuto mai le richieste.
Il rapporto mette in luce anche le crescenti segnalazioni di violenza contro le minoranze etniche e religiose in India, e critica il governo e l’incapacità del governo di prevenire tali incidenti.
“Alcuni ufficiali del partito di maggioranza indù – si legge nel rapporto – inclusi quelli provenienti dal Bharatiya Janata Party (BPJ) hanno fatto dichiarazioni pubbliche incendiarie o post nei social media contro le comunità di minoranza”.
Il rapporto nota che l’Arabia Saudita è l’unica nazione che proibisce tutte le chiese, e che dal 2004 la nazione è considerata di “particolare preoccupazione” secondo l’Atto di Libertà Religiosa del 1998.
L’Arabia Saudita è stata inclusa di nuovo nella lista e saranno annunciate le sanzioni che ne accompagnano la negazioni.
Un altro esempio positivo è quello dell’Uzbekistan, che ha “migliorato la libertà religiosa e posto fine ai raid di polizia contro gruppi religiosi non registrati”.
Il rapporto ha anche lodato la Repubblica Democratica del Congo per via della migliori relazioni tra il governo e le comunità religiose da quando, nel gennaio 2019, si è installato il nuovo presidente Felix Tshisekedi.
Le informazioni del rapporto si basano sulle dichiarazioni dei leader religiosi e sugli articoli dei media, da cui si evince che “non ci sono resoconti di atti di violenza o intimidazione contro gli ufficiali della Chiesa cattolica”, mentre “a marzo, il governo ha liberato diversi prigionieri politici Comunità Laica Cattolica che erano stati arrestati nel 2018 per aver guidato le proteste in quella che le organizzazioni non governative e altri hanno definito come azioni arbitrarie”.
FOCUS EUROPA
I vescovi di Europa ed Africa chiedono una partnership tra i due continenti “giusta e responsabile”
In vista del Sesto Summit dei leader di Unione Europea ed Unione Africana, i vescovi della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) e del Simposio di Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM) hanno inviato un documento congiunto per rimarcare la necessità di una partnership fondata sulla dignità dell’essere umano e chiedendo che questa sia giusta e respomsabile.
Il contributo è firmato dai due presidenti, i Cardinali Jean-Claude Hollerich (COMECE) e Philippe Naketelentuba Ouedraogo (SECAM).
I due condividono la preoccupazione per le molte persone, famiglie e comunità che vivono in situazione di stress, vulnerabilità e debolezza. COMECE e SECAM incoraggiano i politici europei ed africani ad orientare il loro lavoro preparatorio sui principi della dignità dell’essere umano, la responsabilità e la solidarietà, con particolare enfasi sull’opzione preferenziale per i poveri, la cura del creato e la ricerca del bene comune.
“Siamo fermamente convinti – si legge nel contributo, intitolato “La Giustizia fiorirà e la pienezza della Pace per sempre” – che Africa ed Europa possono diventare i motori per un rinvigorimento della cooperazione multilaterale”.
Il documento presenta anche una serie di specifiche raccomandazioni politiche con lo scopo di ridefinire le relazioni politiche ed economiche in modo da creare partnerships eque e responsabili. I vescovi europei ed africani hanno chiesto “una collaborazione per lo sviluppo umano integrale, l’ecologia integrale, la sicurezza umana e la pace per i migranti”.
Il re di Spagna ha chiamato il presidente della Conferenza Episcopale spagnola
Lo scorso 16 giugno, il re Felipe VI di Spagna ha chiamato il Cardinale Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona e presidente della Conferenza Episcopale spagnola: ne dà notizia l’ufficio stampa dei vescovi spagnoli.
“Durante la conversazione – si legge in una nota della Conferenza Episcopale– Felipe VI ha trasmesso le sue condoglianze per i sacerdoti periti durante la pandemia e si è interessato della salute dei vescovi e dei sacerdoti contagiati e per la situazione della Chiesa in questa situazione difficile”.
Inoltre, il re ha espresso “gratitudine per il servizio prestato dalla Chiesa alla società spagnola oggi e che questo sia visibile nella memoria delle attività della Chiesa”.
Francia, i vescovi tornano sui rapporti Stato – Chiesa
Il governo francese aveva prolungato la chiusura degli eventi religiosi pubblici fino al 2 giugno, ma i vescovi francesi avevano fatto ricorso al Consiglio di Stato, vincendo. Con queste premesse, era ovvio che l’assemblea plenaria della Conferenza Episcopale Francese, che si è tenuta dall’8 al 10 giugno, si concentrasse proprio sui rapporti Stato e Chiesa.
Nel suo discorso conclusivo, l’arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale, ha ribadito che la Chiesa “non pretende di sfuggire alle leggi dello Stato” e “non rivendica privilegi”, ma solo “la libertà di vivere l’amore di Dio e l’amore del prossimo, di servire tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro condizione sociale, di scegliere la castità o la fedeltà coniugale, di preferire la povertà alla ricchezza, di sforzarsi di trasformare l’esercizio dell’autorità in servizio agli altri”.
L'arcivescovo di Reims Beaufort ha proseguito quindi con una lunga riflessione sul periodo di confinamento che ha impedito ai fedeli di accedere ai Sacramenti e di partecipare alle Messe. Ha espresso, tra l’altro, l’apprezzamento dei vescovi per la creatività di cui hanno dato prova tanti sacerdoti e fedeli per consentire a tutti di assistere alle celebrazioni a casa. A nome dell’episcopato, ha inoltre ringraziato ancora una volta gli operatori sanitari e le tante donne e uomini che si sono prodigati in questi mesi per garantire i servizi essenziali.
Altri temi della relazione conclusiva sono stati gli abusi nella Chiesa e l’impegno dei cristiani contro il razzismo.
FOCUS AMBASCIATORI
In congedo l’ambasciatore UE presso la Santa Sede
Il 12 giugno, Jan Tombinski, ambasciatore dell’Unione Europea presso la Santa Sede, è stato da Papa Francesco in visita di congedo. Tombinski occupava il ruolo di ambasciatore presso la Santa Sede dal 2016.
Sposato con 10 figli, ha iniziato come bibliotecario e accademico, prima di entrare nella carriera diplomatica dal 1990, servendo prima a Praga, poi a Lubiana, e infine venendo nominato ambasciatore non residente in Bosnia-Erzegovina dal 1996 al 1998. Tornato al ministero degli Esteri, è stato poi ambasciatore in Francia dal 2001 al 2007, rappresentante permanente della Polonia presso l’Unione Europea dal 2007 al 2012 e capo delegazione e ambasciatore dell’Unione Europea in Ucraina dal 2012 al 2016.